giovedì 29 giugno 2006

Graffia

La voce, come sempre affilata. Ma non più dispersa in armonie ammorbidite, pubblicitarie. Niente nouvelle cuisine dei sentimenti, qui. Nessuna concessione. Musica manesca, senza ambiguità: la chitarra scopre i denti. Mi piace molto questo andazzo, e sento dietro alla voce il possente muro dei suoi musicisti, amici, compagni di navigazione. Adesso nemmeno serve portarsi la bandiera pirata ai concerti. Si è oltre l'Equatore, dopo un anno di miscele e prove: compatti, e il suono è rotondo, perfetto. E io, una piccola parte del suo pubblico, applaudo...

martedì 27 giugno 2006

Tu come stai

La moto gialla con sopra due ragazzi non sa bene dove andare. Il camioncino lo sa bene, e difatti usa tutta la strada disponibile sia a destra che a sinistra, di sopra e di sotto, ovunque e dovunque. Io vado piano, pensando, sulla solita tangenziale dall'asfalto oggi tremolante, nella foschia di questa mattina che sembra l'entrata di un giorno di mare: lo stesso venticello, il cielo schiacciato, la promessa di un sole che entrerà con noi nell'acqua e anche dentro, riserva di energia.

Passano i giorni così, senza che nulla mi smuova. Non mi sembra di sentire. Dentro porto non la mancanza di qualcosa, non la pienezza di qualcosa. Come se fossi diventata per un po' parte del tutto e non quella dolente, non-riconosciuta, parte di me stessa che si avvicina troppo alle macchine, che si sfida a frenare prima di toccare.

Leggera, uno scalino della vita alla volta. Dall'altezza di qualunque età si vede tutto un orizzonte, e dalla mia vedo il mio intero continente: le parti al sole, le parti in ombra e, lontano, quelle che vanno verso la notte. Mi spoglio della zavorra di pensieri di azioni impossibili. Abbraccio i miei sogni e li saluto come a vecchi amici. Mi prendo un caffé con le mie illusioni, riconciliata.

E so bene che è un golden time, nel quale si paga il doppio ai lavoratori: un tempo di crudele felicità nella solitudine. Assaporo ogni stilla di luce che vivo. Finché dura.

Una citazione_4

"Non s'impara mai niente da coloro che ricambiano il nostro amore".

Lawrence Durrell, Clea

venerdì 23 giugno 2006

This town is too hot

Io rimando, spesso. Ma è anche saggezza, saper rimandare; credo. Mi duole il cuore, un po', perché la tenerezza mi avrebbe portato a volo al Linux a vedere Mr. Luke e Mr. Faggella con tutta la banda di tosti e i loro meravigliosi strumenti vintage fare musica e rumore e divertirsi. Ma sono vittima da un attacco di allergia che mi ha lasciato esausta e con sette pacchetti di fazzoletti in meno. E siccome so che dopo le calure estive prima o poi risusciteranno in qualche locale trendy, mi sono buttata su un piatto di melone diaccio marmato e me lo sto mangiando, affiancata dai libri di Lawrence Durrell e circondata dalla poca aria che entra in casa (purtroppo orientata in modo a non far corrente quando si aprono le finestre...) e da quell'odore delicato che tanto mi piace, i ligustri della strada, che dopo un intero mese sono scoppiati in nubi di fiori minuscoli rimasti sui marciapiedi come piccolissime dune gialle.

E rimando anche per debolezza, per confusione, perché i guidatori impazziti di questi giorni sono troppo villani (ed ho bisogno di rifugiarmi) e perché fa troppo caldo e devo ancora abituarmi...

giovedì 22 giugno 2006

Una citazione_3

"Era possibile immaginare che sarebbe venuto il momento in cui non avrebbero potuto più baciarsi, come ora, e restare seduti le mani nelle mani, di notte, a sentire il polso dell'altro segnare il tempo che fluisce tacito nel silenzio, tra le morte rive dell'esperienza passata? "

Lawrence Durrell, Mountolive

mercoledì 21 giugno 2006

Una citazione_2

"In principio - scrive Pursewarden -, cerchiamo di colmare il vuoto della nostra individualità con l'amore, e per qualche momento godiamo di un illusorio senso di completezza. Ma è solo un'illusione, perché quella strana creatura che avevamo creduto ci potesse ricongiungere al corpo del mondo, alla fine ce ne separa nel modo più assoluto. L'amore prima unisce e poi divide. In quale altro modo potremmo crescere?"

Lawrence Durrell, Balthazar

martedì 20 giugno 2006

Una citazione

"Noi che abbiamo viaggiato molto e amato molto: noi che abbiamo - non dirò sofferto, perché nella sofferenza abbiamo sempre riconosciuto la nostra autonomia - solo noi sappiamo apprezzare le complessità della tenerezza e comprendere quanto strettamente siano in rapporto amicizia e amore".

Lawrence Durrell, Justine

sabato 17 giugno 2006

Animal Crackers



E' Romeo, o Carlotta? - Ippopotamo pigmeo, Giardino Zoologico di Roma

C'è che a me lo Zoo (no e poi no al "bioparco" politically correct) piace molto. Ci sono andata quando era diverso, più triste forse; ci vado adesso che è gestito meglio ed è, nella misura del possibile, più umano. Mi piace il silenzio che c'è in certe zone, lontane dai percorsi segnalati con orsetti ridenti e frecce colorate; nelle voliere dove l'aquila riposa, negli spazi dove stanno indifferenti asini o scimmie rhesus.

Papà ansimante: "Il coccodrillo, ecco! Forse lo vedremo mangiare... E se gli danno da mangiare i pesciolini, eh?" Mamma pensierosa: "Ma no, poveri pesciolini!!" (e io a pensare: "Diamo loro quel che gli piace, no?: una bella carcassa")

L'impianto originario era molto Belle Epoque, patinato, teatrale. Sopravvivono oggi il fosso ("villaggio") delle scimmie, la casa degli elefanti e quella delle giraffe, i bassorilievi finto aztechi dei muri vicino alle tigri e i leoni, la grande voliera. In fondo, nascosto dalle transenne, un muro di ghiaccio: il fondale in cemento dipinto, dove stavano i pinguini: io li ho visti ed ho sofferto con loro, con le foche, con gli orsi bianchi, con le tigri siberiane che ancora stanno lì e posano come regine annoiate sotto il caldo esagerato dell'estate romana. Gli elefanti scherzano a grandi barriti con i loro curatori - i soli meritevoli: chi lavora là dentro lo fa con amore -, il tapiro esce dalla sua casetta e si fa bagnare con la pompa mentre scattano insieme dieci macchinette digitali e tre bambini piccoli che vogliono correre. I fenicotteri, che un tempo stavano all'entrata come prime ballerine, sono stati spostati al laghetto, e ne soffrono, sempre disturbati dalle tartarughe e da quelle acide delle anatre che sfrecciano di qua e di là come motorini nel traffico. I maialini stanno vicino alla loro mamma scrofa che li arringa a non uscire ed evitare i bambini che gridano "Ma che puzza!!!" passando veloci vicino alle mucche e gli eleganti asinelli ben strigliati. Il Rettilario chiede prima la gabella di un filmetto educativo da vedere seduti in un finto aereo, per poi passare velocemente alle rane blu, le iguane, la testuggine mata-mata e i coccodrilli appoggiati ai loro muretti, scocciati. E te credo. Il pubblico è magnifico: Ohhh! Ahhh! Ma guarda qui!!! Anvedi questo quanto è brutto!!!

Loro ci vedono, tutti loro, e ci ignorano, ne sono sicura. Il camaleonte mi ha guardato con una certa ferocia, da quel suo mistero di colori. E io me ne sono andata, accaldata e intontita dagli strilli, sbattuta sui prati secchi di Villa Borghese dall'immensa risata delle cornacchie più furbe e meglio nutrite di Roma...

giovedì 15 giugno 2006

Al risveglio



Uscita di garage

- Cosa vorresti, adesso? Dimmi.

Il silenzio è leggero. Guardo la finestra e mi chiedo perché in questo albergo le zanzariere siano di due colori: un pezzo nero e un pezzo bianco, che scorrono l'una sull'altra quando si chiudono le imposte. Sul copriletto, una vestaglia rosa sta per scivolare a terra. La tua mano sfiora distrattamente zone di pelle ruvida mentre il sole mi cammina giù per un polpaccio. Chiudo gli occhi.


- Un trancio di cassata bello freddo. No, del tiramisù profumato al Khalua. ... No. La crema. Dentro un bauletto di gaufrettes.

Le imposte si oppongono al sole e lo filtrano sul loro color cioccolato. Uno sciroppo denso di luce entra nella stanza e con lui il graffiare sgradevole di una sega circolare, con sottofondo di trapano: una casa in ristrutturazione. Mantengo gli occhi chiusi. Faccio scorrere i titoli di coda, quello scoppiettare di colori che precede la coscienza del risveglio. Non li apro, non ancora. Prima il caffé.

Mi affaccio dalla finestra sul cortile, qualche ora dopo. Così come a Roma l'estate non si manifesta soltanto con il caldo e l'afflusso di turisti, ma con l'ostensione di bucati colorati dalle finestre esterne, come bandiere marine che chiamano alle spiagge o alle lunghe paseggiate, oggi anch'io ho steso fuori, ho ballato musica che richiama il mare e le vacanze, letto dei fumetti; oggi non ho prodotto un centesimo per nessuno. Soltanto un post per queste pagine bianche, questa mia stanza tutta per me, la mia bacheca dei sentimenti. Le mie fluttuazioni, l'amore e le amarezze, tutto un po' si diluisce nell'aria fine, mi esce dagli occhi come una voglia di distanze e di viaggi, mi illanguidisce nell'ombra.

lunedì 12 giugno 2006

Fuga dopo i primi quarantun minuti

Mentre l'Italia si mangia due occasioni con il Ghana, della Nazionale di rugby, impegnata in Giappone e poi sabato contro le Fiji, non importa invece un fico secco a nessuno. Ingiustizia, per me che non considero il calcio una religione. Rigoverno e fuggo dal televisore, ma da fuori montano le onde crescenti ad ogni movimento della squadra che si avvicina alla porta avversaria e che precede al climax dell'urlo liberatorio; ecco, come adesso.

Pazienza. Mi metto le cuffie. Io non sono capace di fare un post intero sulla musica che ascolto e i suoi annessi e connessi. Per quello ci sono blog ben più autorevoli (per esempio, partiamo da qui). Ma quando Mr. Berberecho (che è spagnolo, natürlich) posta per la seconda volta su Moka una canzone del ragazzone che ascolto quasi continuamente nelle ultime settimane, è bene che io spenda un paio di frasi in proposito.

L'Extremadura è una regione che ha sempre avuto tra noi fama di inospitale. Niente industrie, caldo eccessivo, paesaggi brulli: olivi, peitre, maiali allo stato brado, roveri, roverelle e molta povertà. Nel momento in cui il paese si è rialzato dal lungo sonno e messo a correre fino a quasi scavalcare tutti i paesi europei, è partito anche il recupero delle terre dimenticate, che possiedono tesori d'arte e paesaggi incontaminati (nonché i migliori prosciutti crudi dell'intero territorio eccetto, ovviamente, quelli che si seccavano in soffitta da mia nonna castigliana) e che hanno dato i natali al ragazzone di cui sopra. Lui mischia l'afrobeat con la bossa, spruzzi del jazz di Monk riscaldati a fuoco con il funk e via di seguito, architettando dei ritmi irresistibili (provate con Toda Mojaíta o Limón en la Cabeza (Un limone sulla testa) , che s'incollano e fanno ancheggiare e battere mani e piedi anche alle cicciotelle perenni come me.

Gli va dato il merito di fornire l'ascolto quasi completo di tutto quello che ha pubblicato, anche qui. A chi piace, si può strafogare. A chi no, cercasse altrove qualcosa che lo stuzzichi. Gool night.

venerdì 9 giugno 2006

Chimica organica dei blog

Il mio blog. Nuclei e legami? O sono fiori e piante? Aspettate che finisca l'elaborazione.
E il vostro? (via Paolo Valdemarín)

Fattore di rigenerazione cellulare



Tor Bella Monaca, Le Torri

Ferite. Avrei voluto essere in qualche tredicesimo, con davanti la città indolente che mi guarda un attimo e poi più nulla, come tanta gente che non ferisce né accoglie, ma sta accanto a me e va. E smettere di vederti bambino in bicicletta, o studente rasente i muri, o addetto a la plonge che esce dal ristorante con le mani bagnate, lo straccio bianco da far male agli occhi, e lo sguardo a bere il cielo. Smettere di sentire nell'auto-abbraccio, dallo specchio del bagno fino allo spazzolino delle 23, lo scatto delle lame affilate: domande dentro, silenzi da sgonfiare. Non adesso, non ho le forze, la macchina un po' morde un po' carezza il raccordo. Lo stradone di TorBellaMonaca è a scorrimento veloce e sbiancamento assoluto del pensiero. Mi lascio dietro le alte torri, approdo di altri, di altri castello e riposo. Pensare: la radio. Davanti e dietro due camion Minerva leggeri, come serigrafati: per un po' di secondi galleggiamo insieme, mentre premo la T di Tuner e mi sposto a sinistra, veloce, veloce. T di Turner. Slow.

giovedì 8 giugno 2006

Un'altro, Jack?*

Io le multe le pago. Se mi ha detto male, vado al palazzone sulla via Ostiense, affronto il sopracciglio perplesso dell'incaricato delle contravvenzioni (potrei quasi leggergli nel pensiero: Come, paga due giorni dopo? - Oh, quasi quasi stacco e mi vado a prendere un caffé), l'indolenza della cassiera e il cartello "Riservato al Personale - Esecuzioni", che sta un po' defilato, vicino ad una porta quasi sempre chiusa, e mi fa venire sempre i brividi e un mezzo grammo di curiosità che non oso soddisfare con una banale, semplice domanda. Esco. In mezzo ai due ascensori c'è scritto "Vigili i romani vi odiano" e con una freccia che esce dall'odiano: "Io vi adoro". Non posso evitare di sorridere... E' tutto un po' semideserto, sull'Ostiense, alle 15.40. Gli addetti AMA puliscono le strade con l'acqua a pressione e scoprirò più tardi che la fiancata destra dello squalo è marezzata come se i Kraftwerk avessero fatto una cover di un dripping di Pollock. Arrabiarsi? No, prima devo entrare nel silenzio della Montemartini che a quest'ora è perfettamente solitaria, nessuna fila né turisti né niente; i custodi chiacchierano e le fontanelle col rubinetto a forma di testa di cinghiale lasciano una traccia di colonna sonora sopra, davanti o dietro al vento nei platani e al rumore basso dell'aria condizionata, che sembra uscire dritta dalla caldaia Tosi. Le macchine sembrano grandi muscoli palpitanti, con i loro tatuaggi di orologi e targhe di costruttori. Le statue richiedono a gran voce un blocco da disegno, matita e gesso, ma l'ho dimenticato... I cartelli di propaganda, la retorica, le scritte degli archivi di provenienza m'impressionano. Ero nel futuro della mia famiglia, allora; posso vederli, piccoli, nelle scuole dei paesi castigliani, piene di bambini di cui la maggior parte non sarebbero arrivati alle medie, e sarebbero emigrati in cerca di un altro domani diverso da quello che conoscevano. Giro in mezzo alle bandiere e alle idee semplici che erano nelle loro enciclopedie: un libro soltanto per tutti, per tutte le elementari, altro che Wikipedia. M'impressiona anche il ragazzo incaricato dei dépliant o dell'eventuale spiegazione, insaccato in una giacca semiseria, febbrile di parlare sicuramente di altro che non della mostra, e che ignoro. Quel che però non posso ignorare è che da lui proviene una sensazione di stanchezza e d'inutilità, quasi di dolore, che mi bracca alla schiena mentre guardo dalla finestra il lento planare dei gabbiani sugli edifici dismessi nei cortili vicini. E devo staccarmi a forza dal sole e dal profilo severo del Gazometro per andare via, perché anche se conosco le parole che possono spezzare lo spleen non mi è più permesso di dirle: non io, ma una volubile ventenne, potrebbe, dovrebbe, ma dov'è.

Le ninfe danzano sui lampioni liberty del cortile. Scendo verso la Piramide con sulle spalle stille di riflessi di marmo e di metallo mentre l'aria pesante diventa d'oro rosa e i motoristi mi guardano mentre scrivo pochi spunti e tento di ricordare i suoi occhi tristi, tra un semaforo e l'altro, nel tramonto...

*Il barista a Jack Vincennes, seduto davanti al bancone di uno dei classici bar americani da film giallo, dove nessuno fa domande, eccetto questa. (da L.A. Confidential)

martedì 6 giugno 2006

Disoccupazione precaria

Mi alzo, mi bevo il caffé, vado come tutti i giorni, vado sotto il cielo slavato, quasi mangiato dalle nuvole. Il traffico, le Mercedes nere, i camion gialli, le moto rosse. Girare, tagliare le curve, impaurire le cornacchie, accodare un vento al agitarsi dei papaveri sulla strada del lavoro. Disturbi tattili nelle mani, ricordi di cose toccate nella notte, di coperte sbattute e riattrate. Il cielo ostile, di nuovo. La riga bianca sempre sotto la ruota sinistra per non perdere contatto con il sogno di volare.

Poi lo stop. I glicini che sbattono al vento profumi e colori. Un rumore di passi sulla ghiaia, come nelle scene dei film. Scherzi e banalità, il caffé bevuto affacciata alla finestra delle scale di sicurezza, guardando il boschetto di pini che lievita verde e rabbioso. Un senso come di essere d'acqua, sentire le alghe salire e scendere fino alla bocca, nutrirle con due mele sbucciate con un coltello viola. L'asepsia di umanità che si annida nei bagni. Schiaffi di pioggia sulla macchina, gocce obese da junk-food inquinato, raccolto qua e là. Uscire, sfrecciare, buttarsi a capofitto nel celestino della vecchia Pantanella. Volere che sia notte. E che ci sia calor. Per ballare.

sabato 3 giugno 2006

Soul food



Colonne del Tempio di Apollo Sosiano


I turisti sono dappertutto. Anch'io, alle volte, soprattutto quando vado in giro per il centro, sono una turista qualsiasi: facilissimo. Mi fermo dappertutto, il naso all'insù come gli altri; ma io guardo veramente, con la dovuta e rancorosa invidia, gli attici da dove si vede tutta la città, scoppianti di alberelli che si piegano al ventaccio freddo, e vicini, molto più vicini di me alle nuvole che oggi sembrano esili piumini, ed ai gabbiani enormi che odorano di mare e strillano planando.

Guardano le mappe, segnalano su pagine piegate e scrutano fuori dagli autobus scoperti. provano ad orientarsi verso il Palatino che aspetta nel suo tenue, inconfondibile rosso-mattone-romano. Io fotografo i resti dei templi su cui sorge San Nicola in Carcere, mentre davanti un gruppetto di amici saluta e bacia un ragazzo ostentatamente calmo, in attesa della futura sposa. I romani stanno nascosti. I turisti guardano il teatro di Marcello con disincantato stupore storico. E io le case che sono cresciute sopra, sopra la storia; con la dovuta, rancorosa invidia. Nemmeno in via Portico d'Ottavia c'è gran movimento: è sabato, è Shavuot, i negozi stanno chiusi: nessun odore di biscotti, di torte di ricotta, di pizza con le zucchine. Un sole crudele stacca le luci dalle ombre. Ma forse la gelateria di Alberto Pica è aperta. Forse c'è ancora il gelato alla rosa. Forse ci sono ancora le brocche alte di peltro, cugine lontanissime di quelle di un tempo, di argilla dipinta, odorose forse di Falerno.

A via Arenula un autobus e un'Husqvarna gialla e blu mi coprono il semaforo: mi tocca arrischiarmi a passare davanti. L'autista guarda la moto con una certa, affamata invidia. Anch'io, direi. Ma devo pensare al gelato, a tornare a casa. Da Giggetto cominciano ad apparecchiare. Davanti alla chiesa, nella strada di ritorno, una limousine enorme, bianca. L'autista sembra aver dormito vestito, sembra una guardia del corpo in un romanzo di Chandler, sembra molto, molto scocciato, ma composto. Ci vuole pazienza: la pazienza è denaro.

Ecco, uno scoppio di pezzi di carta bianchi, palloncini bianchi contro il cielo, un drappello di curiosi: gli sposi escono. Le donne guardiamo il vestito della sposa, le pettinature, le scarpe delle amiche. I maschi le gambe, le sete, le trasparenze, i tacchi vertiginosi. I fotografi scattano verso la limousine, carichi di obbietivi e treppiedi... oh sindaco, affacciati dalle tue finestre, qui di fronte. Guarda quei due vecchietti seduti all'angolo, lei che legge il giornale e lui che sorveglia tutto con la coda dell'occhio: hanno un tempo infinito. Guarda questa donna zingara che sorride, prende il bambino piccolo e affamato che piange e lo allatta seduta nell'autobus, mentre una signora anziana gli accarezza la testa, intenerita. Guarda questa ragazza dai capelli color carota e piercing sotto il labbro, che ciancinca la gomma e canta sottovoce qualcosa dei Subsonica. E guarda il mio gelato, nella sua piccola bara di polistirolo, che si scioglie in profumi di crema con crostata e ciambella...

giovedì 1 giugno 2006

Entreprise, abbiamo un problema

"Spock a Capitano. Siamo stati teletrasportati in un posto troppo freddo per il mese calcolato. Non mi sembra una cosa che rispetti le leggi della logica."
"Sì, Spock, mi dia un minuto. Capitano a plancia. Ma nun è che ppe' ccaso è scassata n'artra vorta 'a centralina?
"

Ieri sera, delle bombe-tuono, di quelle che si accendono tutti gli antifurti dell'isolato. Oggi verso le 10 un telo bagno grigietto, da bucato bianco con in mezzo un calzino blu da bambino che ha camminato scalzo sulla terra bagnata, si è steso sul corpo della città. Sotto, un ventaccio ostico, come quello che ci sferza a bordo mare nei primi bagni di giugno e ci lascia per un po' senza respiro, ben nascosti nell'asciugamano caldo, mentre gli amici ci burlano e ci accusano di essere freddolosi. Pure la pioggia, e i romani intontiti. E domani? Ho acceso un cero laico, al profumo di cannella, e forse così potrò andare, di nuovo, alla volta del Museo di Roma, a vedermi le foto della città scattate da Henri Cartier-Bresson. Per chi volesse invece fare un giro, chessoio, alla GNAM, da ricordare che domani l'entrata è gratuita, e anche qui (per i disegni di Carlo Scarpa, nel centenario della nascita di uno tra gli archiettti italiani più rigoroso, essenziale, tracciatore di strade per gli architetti futuri, creatore di stile), e qui.

E giusto per nostalgia della propria terra, ma non della guerra che mi privò di un nonno e impoverì la generazione dei miei genitori: Manifesti della guerra civile spagnola, alla Centrale Montemartini.

Dopodopodomani, immagino, gli aerei scenderanno di nuovo verso Ciampino come ragnetti che scendono dagli alberi, tenuti da un filo invisibile, perpendicolari a me sull'autostrada, sotto il sole potente che per un po' è stato scalzato da un'allucinazione autunnale. Ci sono tante cose da fare a giugno. Inizia la stagione jazz a Villa Celimontana. Robert Fripp all'Auditorium. Il Roma Hip Hop Parade.

Altro? Exhibart, Rumore, RomaOne, 2night, urban blog romani.