martedì 15 giugno 2010

Taglia - Copia



Civitavecchia, il porto


Ti guardo, seduto sul divano; una voce di silenzio, di soli movimenti. Cerchi, onde di fumo che con le labbra moduli come parole, che con le labbra carezzi e soffi. Pieghe nell'aria, le tue mani ferme abbandonate tra i cuscini; entità strane, roba che non ti appartiene, che sembra dire l'abbandono stesso.

Ma non appartengono a me. Ai miei occhi rimane il pensiero di un disegno a sanguigna, le tue mani distanti dalle mie. E la pelle loro, che si secca come quelle foto di deserti di sale, di letti di fiume abbandonati nel brutale tropico del Cancro.

Ah le carezze lente, i riflessi della notte sulle curve. Tutto ciò, le chitarre, l'estate... mi copro forte la bocca, mi faccio male alle labbra. Incendio, incendio che si spegne in lacrime tenute dentro, lucidanti l'interno delle orbite solo per me; al massimo, va, per la città questa nostra di cui siamo stati odori, ombre che le mura ricordano.

- Vuoi qualcosa? Una sigaretta? Perché mi guardi così?
- Dammi la mano sinistra. Ti leggo la mano.

Sul palmo le righe dove io sola ho scritto, montagnine fatte arrendere dai baci. Mi porto sulla guancia la concavità, i calli, sapore di essere fratelli, e più che questo, più di tutto e la coscienza; e sento nelle tempie tutti gli orologi, so che sarà mattina. So che sarà, l'ultima, mattina.