martedì 30 gennaio 2007

Quisquilie_2

Domani mi tocca uscire da casa e tornare alle solite faccende come al solito, ma forse ce la faccio a dare un'occhiata a questa mostra, per poi seguire con quest'altra, onde darmi una rinfrescata di non-barocco, di non-horror vacui: equilibrare la visione con aiuto delle idee nordiche.

E per voi, reduci di un affollatissimo NoCamp (ancora sorrido...) e che non siete capaci di andare a dormire, fatevi un giretto in questa galassia. Io invece provo a scrivere una minifiaba.

"Mamma Talpa e Mamma Biscotto avevano appena finito di fare uno spuntino..."

lunedì 29 gennaio 2007

Quisquilie

Mentre mangio un pezzo di cioccolata, provo a riprendere alcuni fili persi in questi giorni, ma non ci riesco. Sono le glorie e delizie dell'aggregatore di feed, un'idea in sé semplice per coloro che sono essenzialmente logici ed ordinati, ma per me che sono maniacale e dispersiva è un vero spasso. I aggiornamenti si accumulano, il programma me li presenta in liste pulite, con il loro bel riassuntino, e dopo un po' mi sento come assediata. Mi sa che tornerò alle mie pantagrueliche liste di preferiti, da piluccare come le caramelle..

domenica 28 gennaio 2007

J'ai quitté le navire devant les femmes et les enfants



Stamane il sole entrava in casa con una tale forza che ho dovuto lasciare tutto e fare chilometri, e sono finita nelle stradine di montagna che costeggiano il Lago del Salto. Nessuno: soltanto neve, gusci di noce abbandonati su un muretto tra i muschi, cacciatori, due ragazze sedute al sole sugli scalini di un portone, qualche poiana, pescatori sotto la diga, il silenzio assoluto del cielo e dell'acqua.

sabato 27 gennaio 2007

Should i ever love again

Come mi piacciono questi magazzini posti nei sotterranei di regolari, quasi patrizi palazzi, con davanti una rampa a 45° ruvida - scanalature per la pioggia fatte con una punta de ferro, o con la pala, con rabbia da muratore straniero - questi luoghi che sembrano polverosi ma in cui la polvere vive rintanata in regni d'angolo, insieme a tazze di porcellana a due manici o palloni di spugna lì nascosti, scivolati nel buio protettore. Nel sabato questi luoghi si animano di famiglie eterogenee tutte vestite grigioneroacriliche, bambini vocianti con una punta di camicia fuori dai pantaloni, suocere e fidanzati quasi accalappiati, unigenitori con figlie adolescenti, vicine di pianerottolo che vanno per i corridoi come in gita, e tutti toccano tutto, le plastiche le confezioni le pentole, soppesano i flaconi da due litri di bagnoschiuma, aprono i cassettini di plastica, chiedono ai commessi cose inesistenti, provano a calcolare la differenza di prezzi con quelli di Natale per vedere se conviene, escono con cestini e vasetti in enormi buste gialle riconoscibili dall'intera città come un marchio indelebile.

E noi due che passeggiamo lì in mezzo, delicatamente scansiamo le persone, qualcuno ci chiede scusa - e ogni tanto ci sfioriamo con la punta delle dita.

Poi seguiamo l'odore di pollo arrosto delle rosticcerie, dei rotoli ricotta e spinaci, di parmigiana grassa e broccoli pastellati, quello scorrere il bancone spingendo il vassoio - Ni, vvuoi qualcosa? Prenditi la bagnarola, 'a sarviettina e 'r vino. O vvoi l'acqua? - e mangiando con gli occhi orecchiette e gnocchi alla romana, fino alle mozzarelline e le verdure bollite e la frutta così puliti da sembrare finti; e dietro al bancone scherzi e lazzi, una ginnastica rude, vassoi di patate arrosto e pomodori col riso che vengono su con il montacarichi, i cassieri parlano con i vicini del negozio accanto, mentre sui tavolini - vicini ma non insieme - cinesi, romeni e peruviani stanno chini sui piatti, gli occhi persi come se guardassero il nulla.

E noi due che addentiamo un pezzetto di pizza involto nella carta marrone, guardando dalla vetrina il viavai sabatino - e ogni tanto ci tocchiamo con la punta delle dita.

venerdì 26 gennaio 2007

Mercy, mercy

Anche se dalle ultime gallerie si sente perfettamente anche il posare della suola delle scarpe del pianista sui pedali, non c'è uno solo dei concerti che m'interessano quest'anno all'Auditorium che non abbia quasi abbandonato a causa dei prezzi; il primo oggi, e vi giuro che mi duole. Mi sono dunque data alla filodiffusione finché non finisce questo freddo polare che mi rattrappisce anche i pensieri e mi fa svegliare di notte, il cuore a duemila, mentre sbattono serrande e finestre dell'intero condominio.

lunedì 22 gennaio 2007

Irresistible mexican dance

In questa città bisogna guardare, e spesso, il cielo e la parte alta degli alberi: sperimentare una scissione magrittiana dello sguardo, sopra gli attici, sopra le antenne. In attesa in mezzo a via La Spezia, come una cowgirl sopra il proprio cavallo, vedo passare le nuvole - banalità, giochi di bambini - con gli occhi aperti come bocche: rotolano tutte insieme, contenute dalle scie di aerei a reazione che si stanno già spiumando in fiocchi di nulla. Gli alberi spaventati dal vento sembrano smisurati, cupi fiori, e io sto ferma ma indubbiamente fremente, sfiorata dai percorsi delle macchine e i motorini, un flusso veramente atomico di sopra e di sotto: mi viene la vertigine, mi metto a vibrare, sto dentro per un secondo e non più.

Le nuvole vanno come turisti all'ingiù in un autobus scoperto dal di sotto. Guardano le rovine e gli incroci pieni di claxon. Ogni tanto scattano con il flash del sole, e poi via, a correre verso il solitario Soratte, una spazzola gigante di alberi e rocce che le logora, che fa loro piangere, mentre il freddo cade e si nasconde dietro le copertine dei motorinisti: un ghiaccio siderale, incomprensibile, ed ecco perché la mattina me li ritrovo a scattare tra le corsie della tangenziale...Colonne di ferro e pompon carichi di polvere di riso, pesanti moli di fumatori grigi che nascondono, qual cavallo di Troia, famigliole di fiocchi di cotone usate per lucidare il cielo quando è d'argento. E dietro - ecco chi spinge il gregge - la pioggia va coprendosi le gambe per non inzupparsi, mentre a noi regalerà quell'acqua che rimbalza come se i marciapiedi fossero immensi timpani sampietrinati e viscidi.

Aspetto di sentire sul cofano dello squalo le prime gocce, una risata metallica; invece passa un camion di terra e mi ricopre di polvere, le erbacce rotolano, i saguari - che hanno fatto un solo gol - puntano il loro ringraziamento al cielo, dal Salon Mexico esce fuori musica di trombe lamentose, ironici violini, spettinate nuvole mature e grasse...

sabato 20 gennaio 2007

Gora San Sebastian!

BarCamp o no, oggi è la festa di una delle mie città più amate. In omaggio (...no, deh. E' nostalgia, dei pintxos, della ressa di gente, dell'odore del mare), ho cucinato il merluzzo, trovato fresco...



Merluzzo alla basca

BarCamp seguito

Sul wiki: interviste e diretta da Dolmedia, oppure foto mobbloggate da Tecnoetica, oppure dal twitter generale (che, sono sicura, è faticoso, ma da veramente l'idea dell'ambiente e della conversazione), oppure le foto.

venerdì 19 gennaio 2007

Sono una donna sensibile costretta a fare una vita da dura

No. Sono da raccogliere con il cucchiaino, oggi. Niente cena. Il BarCamp invece me lo seguirò via tutto quello che posso, tanto i nostri tecnici non potrebbero non postare, fotografare, podcastare...

Intanto due cose. Questa iniziativa di PiùBlog, cui aderirò, perché se una cosa mi ha insegnato il blog, è a scrivere breve e concentrata (un racconto per bambini lo scrissi molti anni fa, per una bambina specifica per cui lo inventai e raccontai a puntate, prima del sonno, per lungo tempo). E la domanda di Robie, su cui anch'io mi trovo a riflettere, visto che ne ho visti un bel po' e neanch'io so come rispondere... Parliamone.

giovedì 18 gennaio 2007

Love is crazy, love is blind

L'uomo fumava appoggiato alla ringhiera di cemento del lungo balcone che correva intorno all'edificio. Era uscito appena la nebbia si era un po' diradata intorno; ma rimaneva ancora spessa abbastanza da dargli quella sensazione d'irrealtà nella quale poteva stare spento di pensieri, come in un sogno, e sentire soltanto il freddo pungente, l'asperità delle proprie dita, il crepitio come d'incendio di paglia minuscola con cui si consumava la sigaretta. Le macchine, nell'invisibile là-sotto, lasciavano brevi suoni fantasma di un'umidità trascinata, come sottolineature fatte frettolosamente su un articolo di giornale. Il telefono vibrò nella tasca. Sembrava una sveglia che è stata nascosta sotto il cuscino cinque minuti prima di suonare.

Pronto. Come...? Ah, mi dispiace. Si può fare un'altro giorno, allora. Scegli tu.
...... No, sbagli, certo che ti voglio vedere. No, sbagli, lui non è una scusa. Non gridare così, non posso sopportarlo. Smetttila. Per favore. Ascoltami, ti dico una cosa: non posso vederti da sola. Se non ci fosse lui potrei saltarti addosso. Sì, esatto, così. Non devo, non posso, se c'è lui non lo faccio: sorrido, fumo, ti guardo, e poi sto male per settimane. ... Adesso per favore, non richiamarmi. Non oggi, non domani. Non richiamarmi subito. Grazie.


Un grosso camion uscì dalla curva e sbandò leggermente prima di perdersi all'altro lato della nebbia. Lo stridore dei freni distrasse l'uomo, che guardava lo schermo del cellulare illuminarsi e spegnersi. La sigaretta gli bruciava la parte interna delle dita; la buttò verso il camion con gesto da pescatore. [Pensa: cambiare il tempo, cambiare dimensione. Il movimento è reale, il camion mi trascina e tutto sparisce in un diverso altrove]. Si pettinò i capelli con le dita aggrottate, tre, quattro volte, premendo contro il cuoio capelluto: non riusciva a decidersi a rientrare. Uno scoppio di risate lo convinse. Accettò il caffé che un collega gli porgeva, sorridendo.

martedì 16 gennaio 2007

Mi serviva un surplus d'acciaio



Oggetti di metallo... di cioccolato. La tortina invece è una "girella" (il colore, irresistibile). Sono il bottino di un'esplorazione di pasticcerie (zitti, non ditelo: non posso resistere alle esplorazioni gastronomiche) nel quartiere Tuscolano, zona Giulio Agricola: case cubiche degli anni 70 tutte uguali o quasi, con balconi assimetrici, farmacie, torrefazioni, il rombo degli aerei che scendono verso Ciampino e i soliti sensi unici romani per cui non si può seguire una linea dritta per più di due isolati.

Le cartellate - con il miele, non il vincotto, che colava come la mozzarella dalla pizza calda di Orsini - mi dispiace, le ho mangiate tutte. E' Natale? No. E' primavera? No. E' carnevale? Boh. Andrò a vedere se Regoli (via dello Statuto, 60) fa anche quest'anno i maritozzi quaresimali...

lunedì 15 gennaio 2007

Siamo così tremendamente belli

Promisi ed or mantengo.

Vicina o lontana, reale o sognata, abbiamo sempre in archivio una spiaggia: un solo fotogramma. E così come ognuno alla fine acquisice il suo blues, il fotogramma ci si sviluppa dentro, si frammenta e si ricompone in altre spiagge, là ci riporta in dei momenti che non hanno un loro legame logico con il nostro vissuto, ma sono nel livello esatto in cui quella scena si fermò ed entrarono in quadro due dobermann giovani, nervosi. I loro trottare rompeva i suoni delle onde color del mercurio, mentre si avvicinavano a me e a Claudia - semiaddormentate sulla sabbia - e mi rapportavano al naso l'odore composito di un banale mattino di luglio. Andavano e tornavano (cos'è? ci possiamo giocare? - dicevano al loro padrone, un ragazzo ben vestito, indubbiamente bello, giovane e ricco come tanti che passano l'estate a Cadaqués) mentre io costruivo un muro di rifiuto ben strutturato verso di loro e verso il dover decidere cosa fare.

- Una partita a flipper, dai.
- Nemmen per sogno.
- Hai fame?
- Lasciami scrivere...

Copiava a memoria sul mio quaderno i testi delle canzoni di quel cantante cubano che ci piaceva. Passeggiammo ancora un po' sulla spiaggia ancora fredda. Avevamo voluto vedere i paesaggi di Dalí, sentire quelle deformazioni del tempo e dello spazio. Invece era un posto per ricchi, non per noi. Invaso da stranieri molto ben vestiti. Soppesavamo le lattine di tonno mentre guardavamo cartellini di prezzo esorbitanti. Forse era caviale e noi avevamo dimenticato l'alfabeto.

- Quanto resta?
- Poco. Direi che possiamo andare all'ufficio postale di Roses. Forse il vaglia è arrivato.
- Altrimenti?
- Ci sarà, vedrai. Poi andiamo a Barcellona.
- E poi?

Camminavamo rattrappite nella nostra frustrazione, verso l'uscita del paese. Ci si fermò subito vicino un contadino asciutto, silenzioso. Il camioncino blu aveva due sedili larghi di skai ben cucito, e odorava di terra e di concime. Claudia guardava dal finestrino e fumava. Io e un piccolo vitello, che stava buono buono ai miei piedi, ci siamo guardati come fratelli: aveva la pelle color cannella e rosa, i zoccoli avorio. Poi ha abbassato gli occhi dolci, e ci siamo lasciati insieme spostare e strattonare dalla strada tutta curve, aprendo le narici quasi all'unisono nel sentire l'odore delle ginestre e del timo che entravano a folate, nel vento fatato che ogni tanto sorvolava il mare, quello che ogni tanto si vedeva, blu metallico schiacciato sotto il sole. Il rumore del motore e il silenzio del vitello. Due strilli di gabbiano e il calore del vitello. Le mie mani che prudevano per toccare, abbracciare. Ci separamo ad un bivio prima del paese. Nelle strade già odorose di fritto e di paella lasciai per sempre la vita del vitello.

domenica 14 gennaio 2007

Accumulazione di operazioni illogiche e dismatematiche

Febbre, a pensarti la sento, so bene che accuso e pago una notte passata a dormire poco, disarmonica: ma il corpo parla sempre, mi chiama o mi rifiuta, e io lo ascolto. Tremo, come se dovessi spuntare dalla porta e guardarmi. E ti ho cercato tra la gente che affolla Prati - un quartiere di buona famiglia, sempre inappuntabile, dove si attardano indecise tante macchine in cerca di parcheggio, sfiorando distrattamente le facciate che richiamano i palazzi toscani e le stupende cancellate che guardano verso il Tevere - ma devo andare, c'è troppo traffico, troppa gente che non sei tu, dove tu non potresti mai stare.

Seduta resto, davanti al caffé con una palettata di panna - quella panna sublime come certi baci, non troppo dolce, non troppo amara - che mi hanno fatto i ragazzi di Fassi, domenicalmente rilassati nell'inverno eterno del loro bancone. Rifugiata negli spazi delle mie solitudini di sempre, la mancanza di sonno tutto mi rende enorme: abbraccio con gli occhi i marmi venati di verde e le macchine ammutolite, testimoni di come il tempo può rallentare il suo battito fino ad armonizzarsi con quello di un'immagine assente, che mi sta sulla gola e provo a discostare. Vattene, dico, rifugiati sotto i cornicioni, come il sole rosa di questi pomeriggi. Non mi abbandonare, dico, resta concreta, che io possa sentire per gli anni a venire questo dolore, questo impossibile.

sabato 13 gennaio 2007

Enseñar al que no sabe

Il più bel meme dell'anno è quello lanciato da Luca DeBiase, ripreso e sviluppato da Luca Conti che ci chiede di raccontare a qualcuno ignaro cos' è il blog, partendo dal proprio vissuto. Bene, io sarò un po' ritorta come al solito, perché concentrare in meno di 2000 battute (no, Prof, 1000 proprio mi è impossibile!) il mio "come la vedo io, senti a mme", per una che dal blog ha imparato a scrivere non-torrenzialmente, è una bella sfida...

"C'era una volta il diario. L'esercizio dell'autocoscienza, la contemplazione critica delle strutture in continuo cambiamento sui loro pilastri di fondazione, la mia percezione ed elaborazione della realtà. E quante volte avrei voluto che qualcuno ne leggesse un pezzo lentamente e dicesse qualcosa. Soprattutto laddove non c'era soltanto informazione, descrizione, logos, ma anche pathos, un collegamento con il vissuto che non poteva essere ignorato, che avrebbe generato una comunicazione biunivoca tra persone, e da lì poteva nascere ogni cosa. Tutto ciò rimaneva nell'immediato interno di un gruppo ridotto o nell'espressione pubblicata su carta, inviata per posta, commentata davanti a un caffé.

C'era una volta il blog. Dire, fare, insegnare, imparare. Il desiderio di conferma, di vivere e lasciare una traccia insito in ogni uomo, ma più di altri in coloro che scrivono, può trovare anche spazio qui: ove io scrivo - o anche parlo - e con te comunico, ovunque tu sia puoi dire la tua, e spesso lo fai. Puoi anche soffermarti a riflettere, pregio questo esclusivo della parola scritta. Ci scambiamo nutrimento e perplessità, in modi che nessun altro mezzo ci avrebbe mai permesso, e lo facciamo perché riconosciamo nel condividere il più forte legame in questa rete. Mai come ora le nostre parole possono trovare assonanze e discordanze che ci sono necessarie per crescere nei nostri giorni: basta un computer, tempo e noi stessi."

Ora voglio vedere cosa dicono Francesco, Stefano, Davide, Lele, Luciano, Andrea, Andrea, Filippo, Tommaso, Francesco, Karim, Miriam, Mauro, Andrea, Marco, Matteo, Matteo, Michele, Filippo, Antonio, Luca, Luca, Luca, Marco, Pierluigi, Riccardo, Stefano, Giorgio, Stefano, Marina, Marica, Cristian, Emanuele e tutto il mio quartiere blogosferico, allineato qui a destra.


Update per i pigri: Un miniriassunto su Apogeonline.

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venerdì 12 gennaio 2007

Attraversamenti



Programma di scena per un concerto al Covent Garden, Londra

Una città va seguita attentamente, come osserviamo quel amico in quel tempo preciso, quella donna in quel tempo prezioso. Nelle pieghe nascoste dei progetti più roboanti si nascondono piccoli gioielli, io lo dico sempre: cercare il piccolo, il meno strombazzato sui giornali, spesso e volentieri ospitato dai miei ammirati RomaCheap. Passeggio distratta perché ho mezz'ora da perdere davanti a Santa Croce lucida e lievemente arancione nei suoi travertini barocchi; passeggio distratta ed entro nei giardini del Museo degli Strumenti Musicali (dove galleggia invisibile un'idea di Auditorium che ci sarà, e così potrò invecchiare andando a piedi ai concerti e alle prime come ho sempre sognato...) costeggiati dall'acquedotto che si nasconde dietro agli alberi violentemente spogli nell'inverno fittizio, con il loro continuo rumore di lavori in corso all'edificio accanto e il biascicare sommesso dei gruppi che le guide portano a guardare i resti romani tra la muta Basilica e il brontolare della tangenziale.

E guarda te, appena poso il piede nel corridoio porticato dalle proporzioni bramantiane mi viene addosso la voce della Callas come una lama che raccoglie la luce e mi spella come fossi una frutta, scopro che c'è una mostra di cimeli e di foto, e come al solito non c'è nessuno e il sole può percorrere le teche piene di gioielli di scena ed i vestiti ricamati e baciare tutti i giornali che ha ingiallito insieme al tempo. Due ragazzi con una telecamera litigano sull'inquadratura migliore e spostano le tende rigorosamente rosse che si muovono come blandi sipari; un uomo esile, le mani belle e un giaccone blu da marinaio legge le lettere a Pasolini; una carrozzina da neonato esce dall'ascensore e dietro una coppia comincia a scivolare sul parquet un po' polveroso. Su tutto la magrezza eccessiva dei manichini, su cui si può immaginare il tremendo e fragile sguardo. Su tutto la Carmen in un recital al plasma per le sedie della sala deserta. E le lettere, gli appunti scritti che mi fanno lo stesso effetto dei manoscritti sulla pergamena: l'emozione di vedere le prove della storia.

Fuori invece la storia scorre immediata: i claxon suonano a battaglia o a invasione, i pedoni si buttano sopra i motorini e i motorini sopra i furgoni. Perplessi manovali arancion-riflettenti spostano conetti segnaletici rossi e bianchi e guardano tutto freddi come vulcaniani. Attraverso le mura e fingo di uscire da Roma...

giovedì 11 gennaio 2007

Dio cadde dal letto e inventò la chitarra slide

Beh, stamattina ero convinta che il cielo fosse ancora alla centrifuga: e il filtro era intasato. Non più quel bianco smagliante cui il sole delle mattine d'inverno mi ha abituata. Un grigiore bifronte che scorre e sparisce dietro la mia testa, insieme agli intervalli severi dei lampioni, spenti. Vado via dalla corsia di sorpasso seguendo miei grandi cartelli interni accesi: "oggi voglio stare spenta".

Il mondo va così veloce fuori dalla macchina. Mi si fermano gli occhi sui campi che scoppiano di germoglietti, alla faccia del grigiore, e che mi danno una stagionalità non gregoriana: è soltanto uno scoppiettio di vita vegetale, ma già primavera dentro di me. Intanto i feed della realtà si accumulano: una cena pandemica prima del BarCamp, poi il BarCamp da seguire come lo sbarco sulla luna. Capisco bene tutto l'ambaradan che si è creato intorno al fatto che siano poche le donne che partecipano a questi eventi, aperti e informali. Qui un po' di impressioni. Speriamo nel futuro.

Update: No words! Come diventare invisibili, ma tutti: il NoCamp (ecco l'ideatore)

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domenica 7 gennaio 2007

Comunicazione di servizio_21



Lago del Turano, la diga, inverno


Riposo per qualche giorno.

venerdì 5 gennaio 2007

5 cose che non sai di me (aumenta dunque le tue conoscenze)



Come posso negarmi una nomination di cotanto blogger?
Beh, dai.

1. Ho paura dei grossi camion e dei trattori.
2. Quando devo salutare qualcuno di sconosciuto, m'incasino, non so cosa dire né fare. Scannerizzo troppo lentamente. Di solito do impressioni sbagliate che ci metto una vita a correggere.
3. Confondo ancora "tappeto" e "tapetto" (o "cappello" e "capello"). Le doppie, croce e delizia dello straniero. Prego, non farmi questo scherzo.
4. Fino a 17 anni sono stata la prima della classe, o "secchiona". Ero triste e incompresa (come dicono siano tutti i secchioni). Ma ero solidale.

5. Una volta ho fatto venti chilometri (passaggio in autostop) insieme ad un contadino e il suo vitello, che mi stava ai piedi e mi guardava come un bambino. Non sono diventata vegetariana, ma non mangio carne di vitello.

Adesso, io farei quasi come Mr. Kimota, che oltre ad essere un fotografo magnifico, concettuale, spirituale, like mondrian, è anche un connettore DOC. Ma voglio ardire di trovare qualche interlocutore nei blog romani. Funzioneranno i trackback?

Vivi
Hertz
Socks
Melampira
InvernoMuto

mercoledì 3 gennaio 2007

Tu pensa alla salute



Dal Gianicolo. Quel mattoncino dorato è Villa Medici.


Non sono molto ecologica. Nicchio quando devo incastrare un bel mucchio di carta o di plastiche nei cassonetti. So che non è il consumatore colui che si deve far carico di questo lavoro: sono i produttori di beni di consumo coloro che ci obbligano a farlo, mettendo ogni cosa in una bustina, ogni bustina in una scatola, ogni scatola in una shopper con gancetti, od occhielli di metallo, oppure che si apre e fa cadere mezza spesa e mi costringe a raccoglierla e riciclarla comunque, reprimendo un calcio d'indifferenza e di rabbia. Il cuore mio, però, è di pongo: alla fine sono brava ed ordinata come quando ero la prima della classe, e vado pure in cerca di un cassonetto meno strapieno fischiettando per mezzo quartiere (qui, sorry, ghigno ironico).

Gli alberi in città, però. Sì, i platani che baciano il Tevere, o lo spettacolo dell'Orto Botanico. I pini sulla Pontina, sulla Colombo verso Ostia: la loro corteccia che beve il sole come il travertino... Scappata al Gianicolo, quattro curve tornanti di valzer e sono lì, in uno dei balconi di Roma, con la mia macchinetta pronta - umile lei, non quei mostri che usano i veri fotografi - ed ecco il bruciare d'oro e fuoco della mia città nel tramonto scomparire dietro a furiosi rami secchi di platani e cedri che dall'ultima volta sono cresciuti all'inverosimile. Nemmeno i tetti colorati di Trastevere, tutti dietro le ragnatele fredde che tengono stretto, come fossero dita di Scrooge, il loro tesoro di vita fino alla primavera.

Ecco allora una donna impazzita girare su e giù lungo l'immenso bordo del belvedere, cercando spazi non invasi da dove rubare una inquadratura: i turisti spagnoli che vengono a vedere San Pietro in Montorio e il tempietto del Bramante - che sembra direttamente staccato dallo Sposalizio, mentre ne fu l'ispirazione - mi guardano frastornati, quasi timidi perché anche a loro è stato detto che da qui si vedeva bene tutta la città. Dietro ai rami spicchi variabili di luna piena salgono superando le strisce viola, rosa, oro del tramonto. Mi chiudo in macchina e quando sto per partire passa un ragazzo che parla al cellulare, concitato, agitando un libro dalla copertina bianca. Mi guarda. Io ho un bel broncio triste, da bambina testarda. Sorride non so se a me o all'invisibile interlocutore con cui parla... Scoppio a ridere, faccio ruggire il motore, vado giù per i lungoteveri, sotto al cielo sempre più oltremare...

lunedì 1 gennaio 2007

The timpanist is a soul man



Il fuoco di Capodanno

Quando penso a quello che si mangeranno i Wiener dopo il concerto di Capodanno mi viene un'invidia così. Ma mi passa subito. Le note di Strauss & Co., quasi una tradizione da anni (ci sarebbero, prima, i salti dal trampolino di Garmisch, ma qui non li trasmettono mai), mi tirano fuori assonnata e impigiamata dal torpore scintillante di lasagne e polli ripieni - per i quali fu necessario lottare l'intero pomeriggio del 31, e i cui strascichi vanno affrontati a mascherina calata e puliforno in resta -, ultimi pandori, briciole di cioccolata e la leggerezza alcolica che fu portata fino a casa nella nebbia padana delle ore centrali della notte.

Così il primo dell'anno riposa nel vero silenzio delle strade, più che a Natale e a Ferragosto insieme. Nell'aria il ricordo della polvere bruciata. So che il mare, lontano, mi brontola: ma nulla possono quattro sparute onde fredde, offese, due o tre soliti gabbiani, contro il delizioso kitsch viennese. I miei piedi, come quelli di Rossella sotto il tavolo alla festa di beneficenza, non sanno stare fermi, e insieme ai musicisti che sentono ogni nota con tutto il corpo battono il tempo. I guardo il pubblico impomatato, pensando ai Blues Brothers, pensando cosa succederebbe se anziché applaudire mesti la Radetzky, si alzassero e battessero un sottoritmo più jazz con il corpo, con i piedi. Qualcosa di più canaglia.

- Jake... tesoro.... [lungo bacio tra John Belushi, nero di melma, e Carrie Fisher, fulgida portatrice di arma letale, mentre Dan Aykroyd nasconde il viso nella cartella piena di soldi]
- [Belushi lascia cadere Mme Fisher dritta per terra] Andiamo.

Non passano, nell'aria, molte parole. Il sapore del caffé bello forte risana dentro. C'è solo il rumore, leggerissimo, dei passi dei ballerini, che mi fa scivolare in spirali sempre più larghe nell'anno nuovo...