domenica 30 gennaio 2005

Alle volte è meglio dire buonanotte

Non ti trovo, non ci sei. Ti punto, apro le finestre, applico, ok. E niente, sei sparita. Così, di botto, per guastarmi il post-merenda domenicale, il post-dvd, quel breve momento in cui il pomeriggio si coagula in notte. Perché lo fai? Ti cerco, ti supplico, chiedo aiuto. E’ tutto inutile. L’aiuto non arriva mai da dove secondo noi dovrebbe. E nemmeno posso scriverti, usare le mie password, cambiare in un secondo la configurazione di questo rapporto. Per un momento hai lasciato un segno nel luogo deputato alle comunicazioni, ma ti sei allontanata così veloce… era un’ombra. Non obbedisci alle mie dita, che tanto ti hanno dato, anche nei momenti in cui resistevi al mio tocco, perché le tue batterie erano esauste. Oddio, sarai di qualcun altro, che ti terrà controllata; e io resterò a guardarti stupefatta, sconfitta.

Mi hai anche fatto litigare con tutti, ho dovuto persino allontanare i più cari. Non sapevo più che pesci prendere: ho deciso di meditare… Quando mi concentro, quando il pensiero si ferma e passa leggero il lavoro in background, di solito succede. Niente pensieri dominanti, preconcetti: staccare i circuiti principali del nostro Hal9000. Ecco, forse dovevo pensare che nel punto in cui contattiamo, lì dove sei nascosta, ci fosse la soluzione. Ti ho spinto a farlo, certo; io ben mi conosco. E dò la colpa agli altri….

La periferica funziona correttamente….. Menti!!!! Ma perché non ho pensato, per prima cosa, che potevi essere semplicemente staccata dal case, tastiera infame??

sabato 29 gennaio 2005

Latte, zucchero, uova, vaniglia... biscotto


 Posted by Hello

Rodolfo (piano a Mimì)
E tu, Mimì, che vuoi?

Mimì
La crema.

Schaunard
(al cameriere)
E gran sfarzo. C'è una dama!

Giacomo Puccini, La Bohème, Quadro II

venerdì 28 gennaio 2005

Notizie per il futuro

Io sono abbastanza stanca, oggi, e non ho ancora finito la mia giornata; non sono in vena poetica, vorrei vedermi un film che è più di un mese che giace nel cesto dei video a prendere la polvere, vorrei leggere un giallo e tirare fuori altre citazioni dai miei libri di Henry Miller, e invece mi vado a perdere nel sito del World Economic Forum, del loro blog (fatto di impressioni, sentire dei partecipanti, opinioni postate dal cellulare, e tante altre cose), perché mi sembra importante starci un pochino attenti a queste notizie, più di quelle che riguardano il meteo, le fiction, e altre amenità. In inglese.

mercoledì 26 gennaio 2005

Non tutti sono padroni del proprio destino

"Razza umana" disse Albert Einstein, rispondendo ad un quesito su quale fosse la sua razza.

Fino al XVIII secolo, gli ebrei del ghetto erano per così dire costretti a sentire prediche fatte apposta per la loro conversione, in una chiesetta nella cui facciata, ed è sicuramente l'unica a Roma, campeggia un'iscrizione, presa da un passo di Isaia, sia in latino che in caratteri ebraici. Mentre penso a questo entro lentamente in ghetto da via del Portico di Ottavia, diretta alla pasticceria all'angolo della casa di Lorenzo Manilio, e anche se è tardi, e so che di solito a quest'ora non c'è quasi nulla, riesco comunque a trovare un pezzo di torta con la ricotta da portare a casa.


La sinagoga di Roma, al tramonto Posted by Hello

Domani, Giorno della Memoria, penserò a tutti quelli che, senza capire nulla, furono portati alla morte lontano da qui; senza toni emotivi penserò, in questo freddo, a quelli che giravano nudi, correndo, nelle Selektion dei campi, sotto la neve ed al freddo, come descritto in tante storie. Penserò, e certo non soltanto domani, a tutti gli altri che, dopo questo, ancora soffrono, sotto la neve, al freddo, nella malattia, abbandonati.

martedì 25 gennaio 2005

Net to be_parliamo di blog

Almeno per i primi lettori e commenti, abbiamo tutti avuto la "febbre", credo. Bella striscia, motivo di riflessione.... le altre, qui, da:R:ob Grassilli

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Comunicazione di servizio

Sono sempre senza adsl. Per quelli che visitano ogni tanto le mie disquisizioni, pensieri, elaborazioni e zuppe emotive, qualche foto di Roma, in attesa di poter essere di nuovo pienamente operativa.

domenica 23 gennaio 2005

Sapore di sale

Se la distanza più breve tra due punti è una retta, la distanza tra me e il mare è la Via del Mare. Scivolare, scivolare sui rettifili sentendo all’andata ed al ritorno le radici dei pini marittimi insinuare il loro canto di terra sotto le mie ruote; scivolare dentro l’Eur, un disegno regolamentato, un Mondrian che vedesse soltanto un termini di bianco e di nero; scivolare, e scaraventata da quell’obelisco di zucchero - da lambire lentamente, come per uscire rotolando da una conchiglia – trovarsi nelle buche, gli anfratti, le sterpaglie, i quartieri nascosti nella lontananza.
Quanto è lento questo viaggio, questo volerti vedere, mare blando. Difficile rinunciare ai canti delle sirene che da tutti i lati tendono silenziosi cartelli di pizzerie e baretti, di campeggi, di cartelli autostradali che provocano il mio piede sinistro al ridurre e girare, andare altrove; ma no invece, io continuo, come una sposa che vuole arrivare con il ritardo dovuto alla sua classe. Ultimo dosso, alzarsi dalla tavola motorizzata e fedele, prepararsi alla distesa che riempie gli occhi.

Mi viene incontro il mare, capriccioso, lontano. Inodoro anche; il vento inganna con poderosi effluvi di frittura di pesce la brama dei miei occhi e della pelle tutta, la sensibilità ormai dichiarata per il salmastro. Infinite cabine sbadigliano, congelate in attesa di urgenze temporanee; la sabbia, lì, ferita da ferraglia sparsa, da recinzioni aggredite, da spazzatura, rassegnata all’oblio dei romani, scolora nel biondo della rotonda centrale, là dove palloncini, bambini e coriandoli dipingono, frettolosamente, un fondale diverso alle spiagge invernali. Le ondine vinte non scivolano, sputano un livore materico sulle rive. E io non voglio, non voglio, butto l’anello in terra; non questo vecchio stanco, pustoloso…

Risalire dunque, ritornata al XXI secolo, con i veloci scambi e le brevi frenate dei semafori, l’ondeggiare distratto tra corsie causa ciclisti oppure velocisti da 24 valvole, ragazze straocchialate, nonnetti addormentati. Arrivata al semaforo di viale Oceano Atlantico, che somiglia a quelli delle corse, guardo il cielo sornione che si sta lentamente coprendo a pecorelle. Ah, maledetto, nemmeno tu mi aiuti… Là, lontano lontano, entrando dalle mura, il sole che mi segue – lo sconfitto sensale - dipinge un’onda di luce dietro le nuvole, sull’asfalto omogeneo; la illumina di schiuma fino alle mie ruote e là sotto la fa sparire, come una carezza, un richiamo.

Ma io ho una parola sola, e ti credevo….


Guardando il mare Posted by Hello

giovedì 20 gennaio 2005

Ahia

Se non scrivo domani, immaginate che è successo anche a me: ho una sensazione di ossa rotte, e freddo...

martedì 18 gennaio 2005

Addio del passato

Allontanati, sparisci, penso. Tu, con la falsa moneta nella mano, la mano in tasca, ti avvicini al banco, così tutto biondo, con quei occhialetti, la bocca. Oh oh. Io sto leggendomi il mio giornale nell’angoletto in fondo, nascosta e mimetizzata, Argo in modalità provvisoria, con il capuccino ormai ridotto a colori secchi sulla porcellana. No, è inutile che mi guardi così, da prepotente, classificatorio, dare i punti alle femmine, scegliere a chi dare la mela d’oro etc: l’hanno già fatto, bello. Non sono più nel ranking, da molto tempo.

- Hai una sigaretta?
- Non fumo.
- Ti dispiace se mi siedo qui?
- Per me…
- Che leggi?
- Ma cosa vuoi?
- Ascoltami,


e nei suoli soffiati ogni mattina dal vento trovavo quelle pietre, quei vetri levigati riportati dal mare, ognuno col suo tatto, e le conchiglie rosate. La sabbia era così gialla nell’inverno, soltanto qualche vecchio come me guardava lontano, contava le onde, solo. E pensavo a chi avrei dato questi frammenti, che un giorno furono toccati da altre mani, furono birra e gazosa e sorriso di giovani, rubate bottiglie da camion notturni i cui guidatori russavano sodo. Giravano a me intorno femmine favolose, ma a nessuna ho concesso il colore, codesta trasparenza; soltanto altro, banalità.

- Potrei contraccambiare. Ma nessun bacio -
- Zitta, non questo. Volevo quel biglietto nel vecchio portafoglio,


e le salite sporche fino alla notte, nascosti nelle macchine a fumare e pensare; laggiù sempre il tuo mare, inquieto, e te che andavi di marzo e di settembre fino agli scogli per sfidarlo a bagnarti, quasi a portarti via dall’intensità con cui vivevi tutto. Lo tocchi sempre, te lo porti alle labbra, recuperi un livello di salmastro nel sangue.

- Bevo un sorso dalla tua birra, posso?
- Va. Scambia, ho poco tempo.
- Aspetta. Cameriere, avete dell’assenzio?


Due ragazze si girano a guardati quando esci. I loro ventri tesi, una striscia tra due colori forti, surriscaldati. Fuori piove romano, tristi gocce che splattano e bagnano le gambe fino al ginocchio. Maledetto, hai portato via uno strato alla cotta di maglia in cambio di un goccio di amore congelato ma muschio, verde scuro, e le mie mani grassottelle hanno cercato nella borsa i capitoli necessari a far ripartire la frase rimasta a mezz’aria. Tu, i cui riferimenti sono falsi, e che nemmeno hai pagato la birra. L’acqua scivola sui riflessi verdi con il suo carico di zucchero disciolto. Gusto il dolce e l’amaro e mi allontano..

domenica 16 gennaio 2005

Tao della Domenica

Quando, quando ho tempo di sedermi al tavolo (no, sto piuttosto in piedi e prego che mi escano le carte necessarie in una successione temporale favorevole) a fare un solitario come si deve? Per chi non lo sapesse, questa è una variante a due mazzi di un solitario - La Francese - con le cui varianti di difficoltà, al meno 8, ci si può rimanere per ore a calcolare e, come più piace a me, "meditare nel rumore". Una pulizia dai pensieri negativi. No, non avevo meglio da fare, nel giorno del blocco delle macchine, con il lazzaretto degli influenzati ancora in perfetta efficienza...



Scala di Piranesi Posted by Hello

Hôtel-Dieu_2

Termometri, fazzoletti spiegazzati,
tosse, starnuti dietro ai paraventi
dei calendari fermi, compiacenti,
siam nella bolla stupefatti, sfatti.

Fuori un viavai, il cielo pennellato
di sfilacciate nuvole ci guarda,
i giorni passano, il corpo cresce un poco.
C’è qui un tempo pirogeno, staccato.

La voce prende fuoco dappertutto.
Pagine bianche, trentanove gradi,
metafore; un ossimoro volante
mi schiuma, risoluto, nelle mani.

Ah, del caffè, che non può mai mancarmi,
saper leggere i fondi… Lascio tutto.
Due sorsi d’acqua. Dormo, muto,
e che sia il domani ad ispirarmi.

venerdì 14 gennaio 2005

Mangiare con gli occhi_4


Il brodo di carne Posted by Hello

Pietra nobile

A me automunita e fiera di esserlo, entrare nella metro produce un effetto come di corteo o prime file di concerto rock: all’inizio mi sento un attimo stranita, lo shock, poi procedo sola in mezzo alla moltitudine. Acquisisco il ritmo quasi istantaneamente, m’immergo nel vociare degli altoparlanti, nell’arancione grigioscuro della divisa-linea A, e comincio a scannare con gli occhi. Un ragazzo giovane, scuro di carnagione, parla di fronte ad una ragazza, mentre dietro scorrono le pareti bianche ed i fluorescenti. Lei, magretta, di tratti indoamericani, con jeans scampanati ornati da striscia rossa doppia come i carabinieri, lo ascolta concentrata, e quando finisce la scala mobile e parte a camminare, percepisco che pensa, e pensa, e pensa. Come frasi pronunciate dal sottosuolo ognuno cammina verso la sua destinazione. I corridoi portano alle uscite di Piazza Vittorio, un tempo piene di carnali odori di mercato; compro un portagioielli da regalare, un piccolo capolavoro made in Italy che odora di cuoio, e ritorno. Nei lunghi corridoi vuoti le grandi lastre di travertino, ripulite nell’ultimo restyling della metro, tentano alla conoscenza, all’uso dei sensi. Mi porto nelle dita, fuori, quella ruvidezza del calcare, formata nelle ere geologiche, ed anche il suo calore, quella voce minerale che, dal Colosseo agli androni delle case, ricorda che siamo a Roma…

martedì 11 gennaio 2005

Ironic

Ricevo dai miei amici del GRAL nel bollettino sul radioascolto del 9 gennaio, la segnalazione che gli appassionati di Star Trek hanno anche, da sentire, via Deustche Welle, dei servizi radiofonici in Klingon. Considerato che sono una fan moderata di Star Trek e che, da quanto io so, il Klingon è l'unica lingua "artistica" ad avere anche un dizionario, e che oggi, come dicevo prima, è un po' una giornataccia, perché non imparare qualcosa di diverso?

Un altro giro di raccordo

Il cielo, il cielo grande, là dove io guardo sempre, oggi sembrava una immensa vasca rovesciata, dove vagavano mucchi di schiuma cotonosa. Guidando in mezzo alle chicane prodotte dai lavori su di un quarto di raccordo anulare, un’occhio davanti e l’altro al verde dei seminativi, alle gru, alle case colorate, ai profondi solchi che l’acqua lascia nella terra, tentavo di calmarmi, di fluire. Oggi pesavano mancate congiunzioni tra stelle e pianeti, quell’energia cosmica che ogni tanto si disperde, e non ci troviamo e sentiamo come lo scivolare di una falla dentro, un terremoto piccolo, nostro, che produce anche a noi un’onda anomala. Ognuno poi l’onda sua la doma come vuole. Io tentavo d’immergermi nell’acqua azzurra, così, così lontana…

lunedì 10 gennaio 2005

Una poesia

Voglio schiacciare,
un calcio nel sedere di metallo,
via nella notte,
no giustificazioni.
Solo correre,
nessun altro rumore,
motore ed il mio cuore
coniugati.
Toglietevi argini, spezzati paesaggi,
perché dietro ho un silenzio
non per più tollerabile;
mi minaccia di fango la schiena
ed avanza.
Devo arrivare prima,
a decollare su quella salita,
definitiva e mai più trascurabile
stella.

domenica 9 gennaio 2005

Seguite il rumore dell’acqua

Mattina nebbiosa. Voglio vedermi la mostra Nolli, Vasi, Piranesi, e trepido di arrivare presto; ma i mezzi pubblici, la domenica, la vivono più rilassati. Aspetto mentre l’insofferenza degli anziani in attesa raggiunge livelli di macchietta teatrale. L’autobus arrivato finalmente accosta come fosse messicano e non romano, ondeggia sotto il peso dei frustrati; accenno ad un percorso di sopravvivenza tra umani fili spinati e mi aggancio ad una sbarra. La popolazione anziana seduta, impellicciata e truccata a grana 50 borbotta per puro, scricchiolante piacere di borbottare, anche se la presenza di un signore di Trieste rende il tutto più ironico, intelligente, stilé: battute alla candeggina pura e pacche virtuali alle signore presenti che, colpite dalla verve, si lasciano carezzare tutte mossette e ridolini. Uh, basta, scendo dalle parti di Galleria Sciarra e veleggio fino a Palazzo Fontana di Trevi. Pagare salato e poi su, passare per sala Dante senza nemmeno guardare per un secondo i pannelli dello sponsor, ma soltanto la stupefacente lampada calderiana che scende magica come polvere di fata nel grande spazio, fatto per la lettura o il ballo, con un finestrone che affaccia a sentire le campane di Santa Maria in Trivio ed lo scalpitare dei cavalli delle carrozzelle.

La mostra, in cui fan bella mostra quadri ben illuminati, un plastico in gesso e sughero del Tridente e dintorni, in cui sono rappresentati con esattezza anche i comignoli, e le lastre di rame delle vedute di Roma del Vasi, acquaforte e bulino: cupole, fontane, nuvole, colonne, rovine e mendicanti sulle scale delle chiese. Il Piranesi, lui, mai un mendico: antichità romane estratte dal tempo ed abbellite in modo anche eccessivo, da espressionista. Consumatore di lastre sotto l’acido, creatore di potenti masse di nero. Quando vedo le sue incisioni più selvagge, i sui cieli sempre tempestosi mi lasciano un impressione malata che non mi passa, nemmeno quando li ho visti sui rami originali. Poi ecco la “Nuova Pianta di Roma”, enorme, il primo TuttoCittà di Roma. E mi fermo senza occhiali a cercare da vicino palazzi e fontane, giardini e condotte, parchi ed orti.

Tornare a casa, vado. Ma là fuori c’è l’acqua. Ai turisti sperduti nel trompe-l’oeil di stradine dietro al Corso, ognuno con la sua moneta in tasca, io rispondo sempre: “Seguite questa strada, girate di qua, di là. Seguite il rumore dell’acqua”. In questa piazza così piccola, proprio perché è così mignonne, l’acqua ha il suo Auditorium pubblico. La fontana dell’Acqua Paola scroscia nella notte, guardando dal Gianicolo tutta la città, severa: qui invece, la più ricca di tutte le fontane romane strepita di più, straborda, fa la bella sotto i flash, concede a me riflessi e colori come ad una vecchia amica….


L'acqua più ricca in metalli. Posted by Hello

sabato 8 gennaio 2005

Apologia del segreto

Presa alla gola da questo post (peraltro perfettamente leggibile, un traguardo che ormai non raggiungo più), dove si parla di temi grossi quali empatia, uso dell’ommissione e singletudine affettiva (con sensazioni che precludono una futura tostaggine, riguardo agli inebetiti maschi). D’altra parte sono giorni che ci penso anch’io, complice un sms in cui sono state messe a nudo, probabilmente per un incrocio tra il freudiano e l’astrale, sia le limitatezze del mezzo in sé (incapacItà di sintesi e comprensibilità quando si tratta di massimi sistemi di rapporto umano) sia la presenza dei segreti, delle verità nascoste che ognuno porta con sé rispetto agli altri con cui ha in piacere o il dovere di comunicare.
Giustificavo e giustifico la loro presenza come una necessità di conservare alcune zone tutte per sé, e riconosco che la gelosia che abbiamo nel rapportarci con altri in modo esclusivo fa sì che quest’affermazione sembri cozzare con la famosa sincerità, di cui già qui ha detto la sua Albert Camus. Come potrei credere ad una persona completamente sincera, che non conserva pensieri sui quali poi soffermarsi per analizzarli e discuterli con se stesso? So istintivamente che dietro ad un atteggiamento di aggressiva sincerità c’è un desiderio di specchiarsi e di confrontarsi: è la battaglia nel fango con l’altro, un desiderata inconscio, che liberi energie e proponga nuovi argomenti di maturazione. La sincerità spietata sarebbe dunque da confrontare con la gestione delle mezze verità, o di una parte delle sfaccetature della comunicazione: una palestra nella quale allenarci al vivere sociale.

Io conservo gelosamente le mie verità incomplete, come parte di me stessa, e so che soltanto dopo molti tentativi si può instaurare con un'altra persona un certo livello di sincerità. Nemmeno gli amanti, gli innamorati sono completamente sinceri: hanno zone nascoste delle quali si renderanno conto molto, molto più tardi, quando si saranno rasserenati i temporali. Almeno così è stato sempre per me, e ogni volta che riparto (anche nel semplice saluto quotidiano ripetuto) in un nuovo rapporto, so, con mia sofferenza, che non avrò mai il tutto completo dell’altro, che non potrò fagocitarlo ed integrarlo come cannibale che sono di vissuti altrui, perché ci sono zone invisibili, paludose. Lì vige un’altra legge, e le mie faccine semplici non fanno alcun effetto. Ne devo creare di nuove, di personali per ogni persona, construirle insieme per capirci fino al punto in cui ci permettiamo di spingerci (la mia libertà finisce dove, etc..). E’ un balletto di amebe, di atomi, sempre uguale; è l’evoluzione della specie.

E non potrei mai dire tutto a qualcuno. Non esiste quel qualcuno. Non esiste quel tutto…

giovedì 6 gennaio 2005

Sentire dove poggiano le parole

Quando sento la radio in onde corte come oggi, mentre provavo a trovare programmi in francese dal Vietnam o in inglese dalla Thailandia, novità ed informazioni diverse da quelle “da banco” di tutti i giorni, percepisco il movimento della terra: piano piano il segnale, con il passare delle ore, si affievolisce ed alla fine soccombe nella pirotecnia di sibili e di altre voci, altri segnali che si sovrappongono senza violenza (non come color che strillano nei programmi tv, per intenderci); come onde, appunto, colorate che scivolano sulle spiagge dell’etere. Percepisco l’umore dei programmi in lingue sconosciute: si ride, sono concitati, si discute oppure esce dall’altoparlante una bell’aria di estate, quando passiamo sopra il sudamerica; oppure, in un inglese scandito, emerge la Declaration of Human Rights da un emittente di Papua. E, allo scadere dell’ora, della mezz’ora alle volte, il microfono si chiude, un silenzio tangibile, e rimane lo spazio libero per un’altra emittente che sulla stessa banda occupa un tempo limitato, magari in latino. Questi pacchetti di suoni e di vissuto, che girano sopra di noi e s’incrociano con tutte le nostre conversazioni dal cellulare, bombardati dal magnetismo solare, sono per me una delle cose da conservare, e fonte di curiosità infinita. Nella notte immagino (la radio permette ancora di immaginare, di crearsi le proprie immagini delle cose) lontanissimi, studi insonorizzati con i cartoni da uova, con il polistirolo, o megaparchettati; nel semibuio, davanti al microfono, molti di loro sanno (in particolar modo chi sa di trasmettere in onde corte o cortissime) di rivolgersi ad un potenziale pubblico che sta seduto davanti ad un apparecchio, anche piccolo, in qualunque luogo del globo. E non allo stesso modo della Rete: non sono distratti gli occhi, ma coinvolto il cervello. Ammiro le loro voci dalla dizione perfetta; ascolto con ammirazione…


Radioascolto Posted by Hello

Una citazione

Siamo creatori perché ci è permesso; per grazia, per dirlo in qualche modo. Nessuno crea da solo, di per se stesso. Un artista è uno strumento che registra qualcosa che già esiste, qualcosa che appartiene al mondo intero e che, se è un artista, si sente obbligato a rendere al mondo.

Henry Miller, The Roxy Crucifixion, Sexus, libera traduzione.

Rien ne va plus

Ancora 4 inviti/invitation/invitació/invitación per gmail.
Altrimenti me li tengo.

martedì 4 gennaio 2005

Un nuovo account di posta?

A chi facesse comodo, o ha un amico/a a cui serve, etc., ho ancora 4 inviti Gmail. A voi la parola.

Mangiare con gli occhi_3

Dopo aver cucinato per la cena, niente è meglio che uno spuntino...


Formaggio di capra Posted by Hello

lunedì 3 gennaio 2005

L’amatriciana

Il distributore è vuoto. Musica dagli altoparlanti. Sembra un film americano, italomericano.
- 20 € di gasolio, per cortesia. – gira il contatore, do’ i soldi al ragazzo.
- Questo mese i punti valgono doppio… - mi porge la mia tessera con un certo sorriso canzonatorio, e la strisciata con il numero dei punti totalizzati.
- Ehi!! Finalmente una buona notizia! Grazie! Forse potrò prendermi qualche regalo…
Guardo la strisciata, scansiono i soldi del resto, mi metto la cinta, alzo il volume, parto veloce. Oggi un sole tiepido, sospeso. Infilo il curvone del toboga che dall’autostrada porta alla tangenziale, seguita da un furgoncino da muratore pieno di latta. Bolgia della Stazione Tiburtina, pedoni, motorini: niente. Soltanto la stazione degli autobus bolle, sotto le pensiline quell’umanità che fui anch’io, abitante occasionale di autobus transeuropei che stanno fuori parcheggiati come grandinaviveloci, un arcobaleno di destini da mille ed una notti nelle quali si dormicchia malseduti, sentendo il chiacchierare degli autisti e l’ammiccare dei lampioni nelle strade solitarie. Gira la strada, perseguitata dalle trombe ed i sassofoni che swingano dagli altoparlanti, mentre svolto su Piazzale delle Province per risalire viale Ippocrate sotto una pioggia-oro di foglie. Davanti a me frena un M5, ippopotamo urbano aggressivo quanto l’originale, e parcheggia sul marciapiede ad un angolo di strada, bloccando quasi, nella ristrettezza, una ragazza tra il sorpreso e l’assassino. Tutti i vialoni sotto il Policlinico sono deserti, gli stradoni romani perennemente invasi di brulicante fermento urbano e arrivo al parcheggio della Nazionale, sotto le pietmondrianesche e calde perpendicolari dei finestroni. Voilà, cammino libera appena sfiorata dall’impertinente tramontana, e comincio a camminare in quel quartiere che dalla stazione Termini risale a palazzi e lenti portoni segreti, conventi ed ambasciate, fino alle retrovie del Ministero delle Finanze ed i sottopanza di Via Veneto. Le vie lì sono anonime, alcuni ristoranti sembrano tuguri, il personale che gira di solito sono i soliti impiegatucci statali o parastat, arroganti, griffati, o imbolsiti e trascurati. I bar rigurgitano di caramelle e biglietti dei vari concorsi e gratta e vinci. Un acre odore di straccio riusato aleggia, in certi giorni. Ma io entro in questo ristorante che sembra più o meno un salotto un po’ grande, le doghe alle pareti lucidate, le decorazioni natalizie non dorate, ma blu e rosse, che lo incupiscono, e richiedo golosa una amatriciana. In cucina c’è la moglie del titolare che, come da guida gastronomica, è piccola e silenziosa, perché a tenere il controllo della sala ci pensano gli occhi da husky del proprietario. Quando arrivano i bucatini - questo piatto semplice che non tollera nemmeno il vino - ebbri di pecorino e piccanti al punto giusto, io taccio, ed il mio più caro amico pure, preso alla gola da fettuccine con funghi a dadini carnosi. Ci sono tante cose che uno può mangiare nei ristoranti nascosti in queste strade, i cui menù non possiedono l’asterisco che indica il prodotto congelato, e che vivono di impiegati scuri ma potentissimi, che qui raccontano vita morte e miracoli dei loro piccoli mondi dostoievskiani. In questi posti si muovono le volontà tanto quanto nei ristoranti degli alberghi. Una scamorza gonfia, cremosa come una mozzarella appena uscita dall’acqua, nonbruciata da ogni angolatura, tanta conversazione, caffè e conto che è tardi, ciao, baci, vado. Pago il tempo del parcheggio, filo sotto le lame di un sole milanese, slavato, beffardo. Attraverso Piazza Vittorio e le bancarelle, tutti i cinesi e africani e bangladeshiani che spostano carrelli o chiacchierano fuori e dentro i loro negozi, e finalmente lo stradone che porta dritto fino alle mura, esco da Porta San Giovanni, un flash di campagna come fu, verde e di pecore popolata; ci separa dall’illusione una generazione sola.

Ed un caffè, a casa, nel soffuso pomeriggio che avanza nella notte.

Hôtel-Dieu

Riuscirò a scrivere un post, oggi?
Questa casa è un lazzaretto d'influenzati...

domenica 2 gennaio 2005

Una poesia

Parliamo sì, ma
non ci diciamo che acqua,
marciscono là dentro le pagine
scritte con il tempo degli altri;
soltanto questa merce rara
volevamo offrire al fato.
Adesso, sazio,
esso ci sputa alcolico nel freddo;
sappiamo comunque di aver finito tutto
con due o tre silenzi, come gli altri.
Mi guardo le tue mani insieme,
due orfane la cui pressione
nell’incontrar le mie
divenne, l’ho capito, insopportabile.