domenica 4 ottobre 2009

Il tagliatore



Villa Celimontana è un parco semplice, uno dei tanti che a Roma sono dominati da un villone (in questo caso ospitante la Società Geografica Italiana) dipinto nei soliti rosa-e-crema o mattone-e-crema, con i soliti vasi di bosso e gli archi rinascimentali, e il travertino che diventa rosa a ottobre e bianco stupefacente ad agosto. Il parco ha degli alberi stupendi e centenari, erba dove riposare dopo un picnic improvvisato di domenica, fontane e vasche con le solite 20 carpette e una carpa-squalo (controllate le vasche con le carpe. C'è sempre una gigante), parco bambini e tantissima polvere. Negli estremi di una immaginaria linea tra le due entrate, ci sono Santa Maria in Domnica e San Pietro e Paolo, tra le chiese più antiche e più belle di Roma: e capita spesso di vedere neosposi buttati in aria dagli amici o la coppia che fa finta di essere separata dai gruppi di parenti sotto gli occhi di un immaginativo (sic) fotografo di matrimoni, mentre il sole picchia implaccabile, ad imperituro ricordo di cotanta emozione. Ma nel parco ci possono essere anche famosi festival di jazz estivi, mesti primi-maggio e moltitudinarie manifestazioni: oggi, terrorizzati standisti aspettavano, nella frechezza della mattina autunnale, l'avvio di La campagna in città.

Sento nominare, alla gente che passeggia, mentre gironzolo tra mieli alla fragola e gelati cacio-e-pepe*, certe cose che attivano alcune zone del cervello e non altre; non ovunque, soltanto qui, in una zona delimitata dagli acquedotti romani e dalle strade consolari che partono a raggiera fino ai confini del mondo conosciuto. Mattina o sera, le lucine si accendono su certe parole, che sono sicura avrà sentito persino il Villani: panino con la porchetta.

La fila è sempre sterminata agli stand di ogni manifestazione in cui si mangia. Gli addetti, sopraffatti; i bambini, scatenati. Odore di porchetta appena tirata fuori dalla carta marrone, dalle umili cordicelle. Il tagliatore di porchetta è un colosso che compie un sacrificio non diverso da quelli degli achei nelle pianure di fronte a Troia: ma qui agli dei non è offerto niente. Siamo noi, gli dei. Ci allontaniamo con i nostri panini, inebriati e dimentichi di offese e di vendette, di clangore ed orgoglio delle armi, unti e ignaramente felici nel sole autunnale.

*il gelato sapeva di buon pecorino ed aveva pezzetti di pepe. Una libidine. Ci sono andata, alla casa madre, nel pomeriggio, e non riuscivo ad uscire (alla ricotta de pecora, per esempio. Ero paralizzata da quanto è buono). Al momento lo metto in alto alla mia classifica delle gelaterie romane.