domenica 26 marzo 2006

Il pittore vero porta il taccuino in tasca



Accademia di Belle Arti, pagella

Quando penso alle mostre e ai concerti che ci sono numerosi a Roma in questo periodo mi viene un magone che da solo potrebbe farmi saltare faticosi mesi di dieta. Tutto, tutte non posso, ok. Ora, perché mi vado a vedere i pittori ottocenteschi, in particolar modo i paesaggisti, che sono i fotografi dell'epoca? Uno dei motivi è che le piccole mostre sono nutrienti anche più dei grandi nomi; un'altro, che l'apprendimento del particolare ritagliato dal contesto segue un percorso leggermente divergente da quello dell'insegnamento al grande pubblico, sicuramente. L'immagine è dapertutto, ora. Allora, era soltanto nell'occhio del pittore.

Palazzo Braschi nel primo sole vero primaverile sembra un innocuo palazzone principesco. Il cortile è sbiancato dalla troppa luce. Lo scalone un po' troppo barocco e carico, mi pesa addosso come ogni dimostrazione architettonica di fasto. Ma varcata la porta d'ingresso, mi sento per benino in una casa patrizia dove nessuno un tempo avrebbe osato fare il minimo rumore fuori luogo; era così, lo sento, fino all'avvento dei cellulari. Le porte hanno stipiti di marmo venato verde o giallo. I bordi dei finestroni e delle porte sono bordati d'oro. Tenui toni di celeste e liste di rosso pompeiano stanno discreti sugli scuri e le porte. Soffitti pieni di fiori o delicate geometrie minimaliste... ah sì, ecco. Sono venuta per la mostra di Caffi.

Rumore di bastoni sul pavimento in noce che cigola appena e, se mi sforzo, sono sicura che profuma di cera. Appoggiato ad un termosifone sta il libro dei quiz per la scuola guida, con accanto una matita rossa. Il custode giovane ripete tra sé e sé concetti di educazione stradale mentre ci guarda passare; vecchie zie e amiche della mamma, con annessa nuora o figlia, seguono la guida che colloca nel giusto luogo storico quadri e paesaggi, come fossero brocche piene di fiori o piatti appena asciugati. Seguo a distanza di rispetto. Molti quadri su Roma sono variamente ripetuti: L'interno del Colosseo, Fuochi su Castel Sant'Angelo, Piazza San Pietro, Piazza del Quirinale con e senza benedizione notturna del Papa e ombre e scintille. Gli acquedotti romani al tramonto che hanno gli stessi colori di adesso. E il Carnevale, ritratto esatto a quello che tanto cantò il Belli: nell'ultimo quadro una madre con il figlio addormentato in braccio guarda lo spegnersi lento dei moccoletti nell’ultima sera prima di Quaresima, davanti a San Marcello al Corso. Ci sono carrozze ferme, carabinieri e i soldati che se ne stanno andando, coppie che si salutano con malinconia... La mostra è lunga, l'occhio quasi annega nei colori, ma riposa nei favolosi quadri notturni, palestra per ogni artista di figurativo: Venezia sotto la luna e Roma che odora di polvere. In un mobiletto a vetri, i quaderni di viaggio, forse tra le cose per me più belle perché personali, perché sempre umane: disegni di navi presi dal vero, personaggi orientali, inchiostro e matita, colori delicati e splendidi insieme. I gruppi si diradano, vanno via. Io mi attardo alle finestre, da dove si vede Piazza Navona velata dalle tende che imitano la garza, e mi sembra di vedere un acquerello...

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