domenica 30 aprile 2006

Basta uscire e un po’ di fortuna

Prima di diventare una Perpetua (mutuo il termine dal suo coniatore, ma con ironia, senza perdere d’occhio le discussioni sul filo da lui intessuto in proposito) vorrei non perdermi molte, molte cose da fare o da vedere nella mia Roma-Calcutta. Ma riduciamoci e stringiamo, perché maggio mese dei fiori arriva in velocità: dal festone di domani è tutto in discesa verso l’estate. Scrivo e traduco mentre i gruppi provano sul palco e mi arrivano spezzettati accordi, note di basso che scoppiettano in pancia, voci di donna. A maggio mi vorrei ridurre alle passeggiate o esplorazioni possibili di piccola entità, o in un quartiere solo, dove sia ancora possibile sentire il tempo come un entità solida, in cui ci sta tutto: architetture e odori, rumori degli alberi e gesti delle persone.

Il quadrilatero di edifici tra via Nizza e la Nomentana nasconde piccoli gioielli come la libreria Minerva a Piazza Fiume (dove ieri non ce l'ho fatta a resistere alla copertina di Cargo), il mercato di Via Alessandria e gli edifici della fabbrica Peroni, e alcune case contagiate a distanza dal non lontano Coppedé. Ci sono piccole gallerie come oredaria, dove ancora e fino al 6 maggio sono visibili alcune fotografie (molto particolari sia come tecnica che nella composizione) di Franco Fontana, oppure mondobizzarro, che presenta artisti e illustratori spesso un po’ troppo hard per i miei gusti, ma non per quello meno interessanti. E in fondo a via Reggio Emilia c’è il Macro, che ospita opere sorprendenti di Leandro Erlich e gli iperrealismi ironici di Erwin Wurm (fino al 7). E il 23 completerò con un giro all’Auditorium per vedere i Ramones di Pablo Echaurren, che anche se non ho mai amato troppo con il tempo ritengo sia migliorato, e poi per i Ramones questo e altro. Il festival della fotografia continua ancora e, approfittando che una delle due mostre di Mario Dondero sta proprio di fronte alla chiesa tutta in legno di Santa Maria Madre del Redentore, un'altra mattinata andrà spesa a TorBellaMonaca, sotto le Torri. E per finire, ma non è tutto, una meditazione: la mostra sul Tibet di Giuseppe Tucci al Museo Orientale, il Tibet del Kailash e di una spiritualità per me, spesso, irraggiungibile.

E quando sarò diventata una Perpetua… andrò spesso a passeggiare all’Orto Botanico o al Roseto, tra poco esuberanti di odori e piccoli, preziosi templi di silenzio.

sabato 29 aprile 2006

Back in the night


Strada consolare, di notte

Un secondo soltanto di silenzio entrando nella macchina. Percezione degli odori della giornata o del sonno. Trovare naturalmente una posizione. La cintura, lo scatto della chiave. Permettere ai pensieri di snodarsi come capelli prima prigionieri da un nastro. Mentre mi sposto sopra le colline intorno a Roma, attaccate ad essa da cordoni ombelicali che sembrano traslucidi sulle foto aeree, sento dietro la luna che mi segue come una bava bianca e si ferma soltanto davanti ai boschetti fitti dove le abbaglianti scoprono riflessi di animaletti che fuggono. In un tempo breve, diciamo venti metri di percorso, il buio là davanti, compatto. Per due o tre volte entro in questo nero che non è bocca che ingoia né luogo dove si sparisce, e subito dietro mi sento accesi i fari di altre macchine, o m’incrociano moto spaventate e rumorose che mi schiaffano addosso un occhio ciclopico. E non posso spegnere i miei anabbaglianti per un momento, soltanto il tempo di attraversare quel pezzetto di asfalto e alberi cupi e sentire di oltrepassare il buio, sentire l'intensa gioia di uscire alla carezza della luce. Come quando tornavo a casa di notte per le strade scure, illuminate soltanto dalla luna, nella Castiglia di mia nonna, passando in mezzo alle zone d'ombra tutta trattenuta, animale, affamata di quel sole sostituto.

La luna ride. I seminativi stanno sotto un bisso sospeso di foschia. Borghetti e traverse cittadine mi feriscono gli occhi mentre il mio squalo fende obbediente la notte verso casa. Le mie sensazioni sono rimescolate, impure. Ecco che mi si stende davanti il tappeto di gioielli della città che dorme, chiusa all'interno del grande raccordo. Lampioni e lampioni, vuoti da cornacchie e da gabbiani. Persino la lampadina che illumina i fornelli di una cucina lontana mi copre come un manto di luce e un po' mi soffoca. Dallo specchietto, sul cavalcavia, vedo la notte abbandonarmi. Il rettangolino di buio diventa sempre più piccolo, come un pianto di bambino che si placa nel sonno. Ma il cuore è rimasto nel bosco.

lunedì 24 aprile 2006

Phalaris paradoxa

Ci sono zone della città nelle quali basta fare due giri d'isolato per disorientarsi, per perdersi. Gli onnipresenti cartelli Auditorium stonano contro le grate ad ogni finestra, le strade polverose e piene di buche, i marciapiedi inesistenti, lampioni storti e incroci senza semaforo dove le macchine si ritorcono le une contro le altre: tra la Collatina e la Casilina c'è un'altra città, case sparse e campetti verdi smeraldo, un'immensa periferia incistata dove a volte vorrei vivere per avere desiderio dell'accogliente centro abitato e poi, arrivata lì, poter aver nostalgia del territorio selvaggio dove avrei imparato le leggi della strada, il rispetto per l'oscurità, il tempo grande come il cielo d'estate, l'amore che è dolore e denti che digrignano nell'irrequieto sonno dell'adolescenza. Percorro strade che si gettano a cascata dentro abitati disordinati come dovettero essere i primi assembramenti umani. Palazzoni curvi, dritti come righe tirate, ad occhiello: e nei balconi le donne stendono i panni, ragazzoni con i soli calzoncini blu fumano la prima sigaretta del mattino, coppie attempate si scambiano due parole senza odio guardando il cielo lontano, immaginando il tempo di domani. Alla fine dello stradone si apre, come le barbe di una piuma bagnata, il bianco abbagliante della chiesa di Meier. E se mai un programma religioso fu meglio applicato (e mi vengono in mente le ascesi del gotico, o le manifestazioni barocche della gloria), se si voleva rappresentare la luce in mezzo al disordine, alle costrizioni architettoniche dell'abitare moderno e senza cuore, la speranza in mezzo alla tempesta etc etc, non si poté fare meglio. Raccolto come una nave apparentemente ancorata, gonfia di luce, con i tiranti nascosti che sembrano le cime, l'edificio mi viene addosso, mi mangia come un Leviatano, e per mezz'ora io ed altri tre solitari fotografi soggiogati scattiamo dentro e fuori dagli occhi, giriamo, ci avviciniamo ed allontaniamo col naso verso le immense pareti dalla curvatura ardita e magnifica come la cupola del Brunelleschi, frutto ambedue di una sfida tecnica, ma anche di un intuizione d'artista.

- Posso prendere qualche ramo di olivo? - chiedo al giardiniere, segnalando un mucchietto di rami posti al bordo del giardinetto perfettamente tagliato.

Lui annuisce e sorride, un omone grande nella tuta blu. Ne prendo un ramo fin troppo grosso e lo porto fino alla macchina mentre escono le prime mamme con i bambini in carrozzina, all'ombra dei palazzi silenziosi. Un gesto complusivo, perché vorrei portarmi l'armonia delle linee, la pulizia dei profili. Fuggo su per la Casilina incrociando i martoriati treni della Roma-Pantano, lasciandomi dietro i lucchetti dorati - orfani dalle catene dei motorini fino al parcheggio serale - attaccati alle grate della fermata dell'Alessandrino. Solo a Torpignattara sento di rientrare sotto le sette gonne. Solo a TorPignattara ricomincio a sternutire, l'allergia mi riprende: nuvole di polline di graminacee esplodono contro le facciate, attraversano sotto la tangenziale, galleggiano bianchissime disegnando curve impossibili nella mia stanza.

sabato 22 aprile 2006

Sort by authority



Corteccia

Un'immagine legata ad un odore sentito nel camminare, il titolo di una canzone che scatta nel cervello alla vista di un gesto o di un profilo, un nome del passato collegato ad una domanda del presente, postami ieri: gutta cavat lapidem, e mi trovo dunque a scavare nella memoria, mentre perdo tempo passeggiando per via Gallia, per trovare pensieri e sensazioni collegati al creare, ai gesti e alla materia del creare. Troppe riviste sotto braccio; troppa voglia di panchina, ma le panchine sono tutte occupate dai primi consumatori sociali di gelato che fanno arco alla gelateria ricreando una piazzetta di paese, con i suoi bambini vocianti e cagnolini vezzeggiati, mentre alla periferia del semicerchio c'è lo struscio di madri mature cloni di figlie fighette e coppie unibambino con tricicli e monopattini spaziali. Le braccia incrociate, tra l'arreso e l'imbronciato, la pizzettara a taglio mi da un pezzetto di rossa a base non croccante ma ben biscottata, e i quattro tavolini argentati anni 60-70-non so, con le loro sedioline di alluminio disposte ordinate lungo la parete, m'inviano tutti i più invitanti riflessi possibili. Mi siedo ed apro un vecchio libro di Storia dell'Arte, aiutandomi con una parte né minore né uguale nel labirinto che porta alla risposta. Ma perché, perché Burri sta alla Galleria d'Arte Moderna, perché, cosa significa? La domanda mi gira intorno come se io fossi insieme Piazza Mazzini e una Vespa celeste che ne disegna la circonferenza sotto le prime gocce di un temporale estivo. Io penso subito al Grande Cretto, ai Legni, ai grandi Sacchi, alle composizioni immense con i colori piatti del Sestante - tutto matematicamente suddiviso, logicamente pesato: i materiali, i colori, lo spazio costruito - ma vedo sempre davanti a me quelle superfici bruciate, cucite, strappate e ricomposte, davanti alle quali non è possibile non percepire il trasformare, il curare, la paziente ricostruzione di una lacerazione interiore di tutti in qualche momento della vita, la lenta composizione di uno spazio con delle materie consone alle mani di un artista a metà tra chirurgo o e stregone (colui che fa apparire mondi nuovi ma può anche riparare la gomma del motorino con un patch che crea delle ombre particolari secondo l'intensità della luce che lo colpisce, e che non si smette di guardare, come se da una semplice ruota si fosse - perché si può, alcuni possono - compiuto un miracolo di bello, di indimenticabile) e soprattutto il rigore, il rispetto per la materia con cui si costruisce e che sotto le sue mani si piega a oscura emozione, a richiamo di qualcosa che bisogna ascoltare, che di solito sta sotto il bzz continuo dei pensieri. E mentre penso ricordo il nome, il compagno di Accademia che piegava le lastre di rame alle sue necessità espressive con una puntasecca insieme bisturi e pugnale: era l'inchiostro spesso delle sue incisioni, così simile alle voragini delle bruciature, la voce delle sue personali combustioni. E noi compagni silenziosi, noi piccoli artigiani capivamo da lui ed in extenso che era necessario, e nutriente per le generazioni future, che la ferita fosse lì, rimarginata e pulsante ancora di vita, visibile esempio estremo dell'umano.

venerdì 21 aprile 2006

Brevi dal compleanno

Non fa ancora troppo caldo. Ma portavo in macchina una forma di ricotta fresca e non ho potuto avvicinarmi ai lungoteveri... l'AraPacis, di cui la maggior parte è stata inaugurata oggi, "compleanno" della città, sarà visitabile gratis dalle 15 a mezzanotte. Da domani si paga. Sono molto curiosa di vedere il tutto.

Per i curiosi, gli amanti del kolossal, coloro che hanno bambini a cui piacciono o a cui insegnare, etc etc, domenica 26 c'è anche la sfilata dei gruppi di ricostruzione storica della Roma antica.

mercoledì 19 aprile 2006

Pianeta, gira con me in un ellisse dolce

L’attaccatura dei capelli non mi cela
quel luogo dove la tua testa si piega
e quando ad una frase abbassi gli occhi
mentre pensi e sorridi insieme
orientato ma fuori dal davanti che guardi
c’è un odore caldo che mi fluisce dalle dita
e disegna alcune tra le infinite tue curve
ne disegna di piccole e di segrete
quelle che soltanto gli amanti conoscono.

Le dita odorano di caffé speziato
i tuoi movimenti sono in quel campo di grano
che potrebbe alzarsi ed andare verso l’orizzonte.

E se mi fermo a pensare.. no. Meglio è
svanire nelle lettere, provare a prendere il tuo sguardo
- che cerca sempre la punta delle scarpe, un parafulmine –
senza resistenza.

martedì 18 aprile 2006

Dove sono finiti i SSS?

Anni '80 forever

Update.
Anni '80 forever: i testi
Anni '80 forever: per giocare.

lunedì 17 aprile 2006

Every day is so wonderful



RomaTre, Facoltà di Scienze della Formazione


Le feste comandate non sono noiose, in fondo. Guido verso l’EUR circondata da una luce piatta, una trasparenza come da garza umida sotto la quale tutto sembra in attesa di germogliare, osservando le case le cui facciate colorate sembrano staccarsi, alzarsi e scappare; sento la città soffrire senza il suo carezzevole sole, abbandonati i suoi profili alla nebbia. Al semaforo di Piazza dei Navigatori, una mano appoggia sul volante la riga bianca di una sigaretta appena accesa, mentre il finestrino scende lentamente e la colonnina di fumo si disfa in una specie di singhiozzo. Sparsi signori di mezza età con giubbotti chiari e un gran sonno matrimoniale accompagnano il cane, o forse lo usano come scusa per provare a svegliarsi, e scappare. Due ragazze che camminano gomito a gomito leggono qualcosa di intenso sul telefonino argentato, un profilo come di coltello, mentre uno degli autobus più lunghi del parco ATAC stacca enormi pezzi di spazio passando loro accanto, ferendo loro le gambe con cartacce, rametti e polvere. Sorpasso una Uno verde oliva che procede lentissima, abitata da una foto di famiglia anni 60: papà anziano che guida, mamma anziana seduta dietro, e davanti un figlio troppo grande ormai per volare, con occhiali troppo grandi ormai per vedere. I benzinai avventizi stanno seduti su improbabili poltroncine neromarroni da capufficio; leggono giornali, buttano una cartaccia. Ma no, mi dico, sbagli: semplicemente stanno, arte difficile, insieme immobili e attenti. Le vedranno, alla base dei marciapiedi vicini, le lunghe righe dei fiori lilla e rosa degli alberi di Giuda, fioriti ovunque?.

Pioviggina a gocce che sembrano moscerini della frutta, leggere e fastidiose, mentre scrivo sulla panchina di un parco. La matita annaspa e beve dai microscopici laghetti; poi continua, un po’ ubriaca. Sdraiato vicino dorme un bengalese panciuto e molto stanco. Come un’apparizione o un fondale, un poney completamente bianco riposa dal suo turno di carrozzella-per-bambini e bruca un’erba dolorosamente verde accanto ai veloci nastri asfaltati della Colombo. Mi cade ai piedi un volano giallo, con un suo ridicolo mezzo pallone da calcio in cima, volato sotto la pioggia ormai pesante.

- Pozzo tirare uno io? Fino alle ztelle, eh? – dice allo zio una ragazzetta-con-apparecchio che scende da una bicicletta blu. Lui continua, estasiato, a tirare volani colorati.

Immagini di un video qualunque sul quale mettere la propria musica della malinconia. Sceglierei queste finestre semichiuse dietro alle quali si consumano le ultime ore di una libertà immaginata, obbligatoria e dunque inutile. O la madre che allatta nel parco, con il giubbettino rosa della figlia sulle spalle come una scaglia. Una città ferma come uno di qui paesini di periferia dove tutto bolle e nulla sembra succedere.

sabato 15 aprile 2006

Pick a bale of cotton

Una luce piatta, solida, scuote le zanzariere ed entra sfrontata in cucina, scivolando da sotto una garza di nuvole indecise. I riflessi sulle pentole si muovono lentamente, girando verso la notte. Scrivo automaticamente le ultime pagine di una traduzione. In sottofondo, Leadbelly da il ritmo esatto ad un lavoro a cui mi sono ridotta, come sempre, a ultima ora. E mentre lui mi passa uno ad uno i sacchi di cotone, il sole tramonta e le pagine scorrono, mi viene giù una sensazione di pace dentro non dovuta all’ora o allo stato d’animo… Domani uova sode, shapes of eternity. E agnello, il miracolo di una carne che profuma da sola, da carezzare con un rametto di rosmarino, e che può essere gustata soltanto in silenzio.

A tutti (in ritardo, a coloro che hanno già mangiato le erbe amare) Buona Pasqua.

domenica 9 aprile 2006

Comunicazione di servizio_16



Torta morbida di mele con farina di biscotti

Riposatevi, abbronzatevi, nun magnate troppo.. etc etc..

Update della notte elettorale. Ore 23:43: Altro che "quattro parole prima di dormire". Dovrei sottotitolare "non ho parole". E adesso che succede?

Update della mattina post-elettorale: Ore 10:55: grande confusione, ma confusione emotiva. C'è chi vuol partire per sempre, come si legge in molti post. Per quelli che sono stati la notte svegli a seguire i risultati, giornalisti, elettori, politici, gente di passaggio come me, stanchi, sfiatati, amareggiati da questo incontro di pugilato, c'è poco da festeggiare...

giovedì 6 aprile 2006

I just care a little

La lavastoviglie ad incasso è da un mese appoggiata a una delle librerie. Ogni tanto, sono sicura, riceve qualche ombrellata, perché il portaombrelli ha dovuto cedere parecchio spazio ed è costretto a stare cheek to cheek con una pila di Grand Gourmet degli '90 che devo ordinare cronologicamente. Come tutti sanno, ombrelli e alta cucina sono lontani quanto due segni zodiacali opposti, e devo ogni tanto spostare sia gli ombrelli sia le riviste per mettere pace nel forzato condominio. Intanto la lavastoviglie chiede a bassa voce un'idraulico che la liberi dal forzato silenzio. E c'è un corteo nel corridoio, pile di riviste, atlanti, fumetti; vestiti sparsi, dischi e vecchi libri di insegnamento del francese per le superiori, con disegni di Pichard. Ogni tanto, lo strillo di uno dei gabbiani che hanno il nido tra i tetti vicini mi estranea e rimango con lo strofinaccio in mano. Da qualche parte, di fronte, si chiude una finestra e il sole passa per la cucina come una coltellata. Ogni tanto arriva l'odore di una preparazione di pesce, un po' cacicucco, un po' polipo, o frutti di mare. Mmmh.

Polvere e polline, questa è la primavera. Forse un po' più piovosa la primavera nei Paesi Baschi, dove l'ennesimo raduno di blogger&geek, questa volta baschi, ha portato il mio blogger preferito dalle parti del Guggenheim. Me lo immagino, quanto starà mangiando bene e assimilando tutto quello che può di una delle zone più dinamiche del paese più veloce d'Europa. Tutte le volte penso: "E qui, quando? Ci sarà un "oltre" a Inedita?"... Guardando la Top 100 di Technorati, sono certamente contenta di vedere un italiano al decimo posto, e anche degli intelligentissimi spagnoli. Ma l'intellighenzia dei blogger italiani, perché non c'è? Forse perché blogghescamente parlando, qui si è ancora allo stato di bambinikinder...??

martedì 4 aprile 2006

Quando s'è come voi, non si vive in compagnia

Alle dieci di sera sento le parole planarmi sotto le dita con un volo lento di gabbiani o cornacchie. Io ho sonno, o voglia di un libro ben scritto, o necessità del sapore di una striscia di matza. Le parole aspettano. Girano senza troppo allontanarsi dalla tastiera, attente ai miei occhi. Alle dieci di sera succede che ci sono diversi luoghi sulla terra dove potrei stare appoggiata ad una macchina ferma, fuori a fumare, il finestrino abbassato (e Mr. DeVille che da una vecchia cassetta mi canta Mixed up, shook up girl per me, per me sola) con sopra la luna che mi rimanda come una immagine mentale tutti i miei crateri, i luminosi picchi, le ombre che sfumano nella polvere. Alle dieci di sera non riesco a digerire un resto di parole al telefono, le solite parole che mi ricordano che sono collocata tra i diversi, coloro per cui il sentimento si muove sotto la pelle più potente del sangue e della linfa, e non riesce a piegarsi al comune vivere, ai comuni pensieri, alla vita senza malintesi. Alle dieci di sera vorrei come arrendermi, cucirmi addosso tutto quello che mi duole ma che sono io, tutto quello che mi strappo, l'essere spesso inopportuna, mal collocata nel tempo e nello spazio di altri. E soffia un vento così dolce, adesso, roba da tenersi abbracciati per la vita, con gli occhi pieni di luce e il corpo che vibra all'unisono. No, non adesso... non posso più. Nemmeno uno sguardo a questo uomo giovane, capelli sale e pepe e la giacca a tre bottoni, il viso da statua classica, occhi come domande verso di me. Salgo la rampa del garage senza guardare, senza rispondere, la testa che si arrende sul collo e i capelli ribelli, i pugni in tasca.

sabato 1 aprile 2006

Appunti trovati dentro il vhs di Aprile

Sì, è primavera, i blog vanno a rilento, io sto un po' dentro a rimuginare sulla mia vita e un po' fuori in maglietta a prendere il sole, e siccome ho lavoro a rondemà (come, non sapete cosa vuol dire?? E leggeteve il Borzacchini o chiedete a un livornese..) sarò breve nel consegnare questo promemoria.

La prima cosa in assoluto: la settimana della cultura. I musei statali e comunali sono gratuiti dal 2 al 9 aprile (e io aprofitto subito per andarmi a vedere uno dei più nascosti: quello della Civiltà Romana all'EUR, soprattutto per i superbi plastici e per i calchi della Colonna Traiana). Non perdetevi l'occasione: Centrale Montemartini, Palazzo Barberini, Museo di Roma in Trastevere, MAXXI, MACRO; non so bene, fate voi.

Poi, c'è la musica. No so, basta comprare Romac'è, oppure leggere altri blog; ciascuno può trovare (grazie, Polaroid) quello che può sentire in questo mese. Io per il momento mi prenoto per il 5, concerto di Adrian Belew a Stazione Birra (e intanto mi sento Discipline, vecchia collaborazione con Robert Fripp, che sarà a Roma anche lui a giugno). Per i palati raffinati, la Palast Orchestra suona domani alle 21.00.

Guardare e mai stancarsi: Festival della Fotografia di Roma (andare su circuito e leggere il programma)... Per il resto, basta Roma One.
MMh, dico, non avete un soldo, ma volete staccare lo stesso? Provate a guardare qui (e leggetevi il manifesto...)