sabato 3 giugno 2006

Soul food



Colonne del Tempio di Apollo Sosiano


I turisti sono dappertutto. Anch'io, alle volte, soprattutto quando vado in giro per il centro, sono una turista qualsiasi: facilissimo. Mi fermo dappertutto, il naso all'insù come gli altri; ma io guardo veramente, con la dovuta e rancorosa invidia, gli attici da dove si vede tutta la città, scoppianti di alberelli che si piegano al ventaccio freddo, e vicini, molto più vicini di me alle nuvole che oggi sembrano esili piumini, ed ai gabbiani enormi che odorano di mare e strillano planando.

Guardano le mappe, segnalano su pagine piegate e scrutano fuori dagli autobus scoperti. provano ad orientarsi verso il Palatino che aspetta nel suo tenue, inconfondibile rosso-mattone-romano. Io fotografo i resti dei templi su cui sorge San Nicola in Carcere, mentre davanti un gruppetto di amici saluta e bacia un ragazzo ostentatamente calmo, in attesa della futura sposa. I romani stanno nascosti. I turisti guardano il teatro di Marcello con disincantato stupore storico. E io le case che sono cresciute sopra, sopra la storia; con la dovuta, rancorosa invidia. Nemmeno in via Portico d'Ottavia c'è gran movimento: è sabato, è Shavuot, i negozi stanno chiusi: nessun odore di biscotti, di torte di ricotta, di pizza con le zucchine. Un sole crudele stacca le luci dalle ombre. Ma forse la gelateria di Alberto Pica è aperta. Forse c'è ancora il gelato alla rosa. Forse ci sono ancora le brocche alte di peltro, cugine lontanissime di quelle di un tempo, di argilla dipinta, odorose forse di Falerno.

A via Arenula un autobus e un'Husqvarna gialla e blu mi coprono il semaforo: mi tocca arrischiarmi a passare davanti. L'autista guarda la moto con una certa, affamata invidia. Anch'io, direi. Ma devo pensare al gelato, a tornare a casa. Da Giggetto cominciano ad apparecchiare. Davanti alla chiesa, nella strada di ritorno, una limousine enorme, bianca. L'autista sembra aver dormito vestito, sembra una guardia del corpo in un romanzo di Chandler, sembra molto, molto scocciato, ma composto. Ci vuole pazienza: la pazienza è denaro.

Ecco, uno scoppio di pezzi di carta bianchi, palloncini bianchi contro il cielo, un drappello di curiosi: gli sposi escono. Le donne guardiamo il vestito della sposa, le pettinature, le scarpe delle amiche. I maschi le gambe, le sete, le trasparenze, i tacchi vertiginosi. I fotografi scattano verso la limousine, carichi di obbietivi e treppiedi... oh sindaco, affacciati dalle tue finestre, qui di fronte. Guarda quei due vecchietti seduti all'angolo, lei che legge il giornale e lui che sorveglia tutto con la coda dell'occhio: hanno un tempo infinito. Guarda questa donna zingara che sorride, prende il bambino piccolo e affamato che piange e lo allatta seduta nell'autobus, mentre una signora anziana gli accarezza la testa, intenerita. Guarda questa ragazza dai capelli color carota e piercing sotto il labbro, che ciancinca la gomma e canta sottovoce qualcosa dei Subsonica. E guarda il mio gelato, nella sua piccola bara di polistirolo, che si scioglie in profumi di crema con crostata e ciambella...

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