Sapore di sale
Se la distanza più breve tra due punti è una retta, la distanza tra me e il mare è la Via del Mare. Scivolare, scivolare sui rettifili sentendo all’andata ed al ritorno le radici dei pini marittimi insinuare il loro canto di terra sotto le mie ruote; scivolare dentro l’Eur, un disegno regolamentato, un Mondrian che vedesse soltanto un termini di bianco e di nero; scivolare, e scaraventata da quell’obelisco di zucchero - da lambire lentamente, come per uscire rotolando da una conchiglia – trovarsi nelle buche, gli anfratti, le sterpaglie, i quartieri nascosti nella lontananza.Quanto è lento questo viaggio, questo volerti vedere, mare blando. Difficile rinunciare ai canti delle sirene che da tutti i lati tendono silenziosi cartelli di pizzerie e baretti, di campeggi, di cartelli autostradali che provocano il mio piede sinistro al ridurre e girare, andare altrove; ma no invece, io continuo, come una sposa che vuole arrivare con il ritardo dovuto alla sua classe. Ultimo dosso, alzarsi dalla tavola motorizzata e fedele, prepararsi alla distesa che riempie gli occhi.
Mi viene incontro il mare, capriccioso, lontano. Inodoro anche; il vento inganna con poderosi effluvi di frittura di pesce la brama dei miei occhi e della pelle tutta, la sensibilità ormai dichiarata per il salmastro. Infinite cabine sbadigliano, congelate in attesa di urgenze temporanee; la sabbia, lì, ferita da ferraglia sparsa, da recinzioni aggredite, da spazzatura, rassegnata all’oblio dei romani, scolora nel biondo della rotonda centrale, là dove palloncini, bambini e coriandoli dipingono, frettolosamente, un fondale diverso alle spiagge invernali. Le ondine vinte non scivolano, sputano un livore materico sulle rive. E io non voglio, non voglio, butto l’anello in terra; non questo vecchio stanco, pustoloso…
Risalire dunque, ritornata al XXI secolo, con i veloci scambi e le brevi frenate dei semafori, l’ondeggiare distratto tra corsie causa ciclisti oppure velocisti da 24 valvole, ragazze straocchialate, nonnetti addormentati. Arrivata al semaforo di viale Oceano Atlantico, che somiglia a quelli delle corse, guardo il cielo sornione che si sta lentamente coprendo a pecorelle. Ah, maledetto, nemmeno tu mi aiuti… Là, lontano lontano, entrando dalle mura, il sole che mi segue – lo sconfitto sensale - dipinge un’onda di luce dietro le nuvole, sull’asfalto omogeneo; la illumina di schiuma fino alle mie ruote e là sotto la fa sparire, come una carezza, un richiamo.
Ma io ho una parola sola, e ti credevo….
Guardando il mare
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