sabato 8 gennaio 2005

Apologia del segreto

Presa alla gola da questo post (peraltro perfettamente leggibile, un traguardo che ormai non raggiungo più), dove si parla di temi grossi quali empatia, uso dell’ommissione e singletudine affettiva (con sensazioni che precludono una futura tostaggine, riguardo agli inebetiti maschi). D’altra parte sono giorni che ci penso anch’io, complice un sms in cui sono state messe a nudo, probabilmente per un incrocio tra il freudiano e l’astrale, sia le limitatezze del mezzo in sé (incapacItà di sintesi e comprensibilità quando si tratta di massimi sistemi di rapporto umano) sia la presenza dei segreti, delle verità nascoste che ognuno porta con sé rispetto agli altri con cui ha in piacere o il dovere di comunicare.
Giustificavo e giustifico la loro presenza come una necessità di conservare alcune zone tutte per sé, e riconosco che la gelosia che abbiamo nel rapportarci con altri in modo esclusivo fa sì che quest’affermazione sembri cozzare con la famosa sincerità, di cui già qui ha detto la sua Albert Camus. Come potrei credere ad una persona completamente sincera, che non conserva pensieri sui quali poi soffermarsi per analizzarli e discuterli con se stesso? So istintivamente che dietro ad un atteggiamento di aggressiva sincerità c’è un desiderio di specchiarsi e di confrontarsi: è la battaglia nel fango con l’altro, un desiderata inconscio, che liberi energie e proponga nuovi argomenti di maturazione. La sincerità spietata sarebbe dunque da confrontare con la gestione delle mezze verità, o di una parte delle sfaccetature della comunicazione: una palestra nella quale allenarci al vivere sociale.

Io conservo gelosamente le mie verità incomplete, come parte di me stessa, e so che soltanto dopo molti tentativi si può instaurare con un'altra persona un certo livello di sincerità. Nemmeno gli amanti, gli innamorati sono completamente sinceri: hanno zone nascoste delle quali si renderanno conto molto, molto più tardi, quando si saranno rasserenati i temporali. Almeno così è stato sempre per me, e ogni volta che riparto (anche nel semplice saluto quotidiano ripetuto) in un nuovo rapporto, so, con mia sofferenza, che non avrò mai il tutto completo dell’altro, che non potrò fagocitarlo ed integrarlo come cannibale che sono di vissuti altrui, perché ci sono zone invisibili, paludose. Lì vige un’altra legge, e le mie faccine semplici non fanno alcun effetto. Ne devo creare di nuove, di personali per ogni persona, construirle insieme per capirci fino al punto in cui ci permettiamo di spingerci (la mia libertà finisce dove, etc..). E’ un balletto di amebe, di atomi, sempre uguale; è l’evoluzione della specie.

E non potrei mai dire tutto a qualcuno. Non esiste quel qualcuno. Non esiste quel tutto…

<< Home