lunedì 15 gennaio 2007

Siamo così tremendamente belli

Promisi ed or mantengo.

Vicina o lontana, reale o sognata, abbiamo sempre in archivio una spiaggia: un solo fotogramma. E così come ognuno alla fine acquisice il suo blues, il fotogramma ci si sviluppa dentro, si frammenta e si ricompone in altre spiagge, là ci riporta in dei momenti che non hanno un loro legame logico con il nostro vissuto, ma sono nel livello esatto in cui quella scena si fermò ed entrarono in quadro due dobermann giovani, nervosi. I loro trottare rompeva i suoni delle onde color del mercurio, mentre si avvicinavano a me e a Claudia - semiaddormentate sulla sabbia - e mi rapportavano al naso l'odore composito di un banale mattino di luglio. Andavano e tornavano (cos'è? ci possiamo giocare? - dicevano al loro padrone, un ragazzo ben vestito, indubbiamente bello, giovane e ricco come tanti che passano l'estate a Cadaqués) mentre io costruivo un muro di rifiuto ben strutturato verso di loro e verso il dover decidere cosa fare.

- Una partita a flipper, dai.
- Nemmen per sogno.
- Hai fame?
- Lasciami scrivere...

Copiava a memoria sul mio quaderno i testi delle canzoni di quel cantante cubano che ci piaceva. Passeggiammo ancora un po' sulla spiaggia ancora fredda. Avevamo voluto vedere i paesaggi di Dalí, sentire quelle deformazioni del tempo e dello spazio. Invece era un posto per ricchi, non per noi. Invaso da stranieri molto ben vestiti. Soppesavamo le lattine di tonno mentre guardavamo cartellini di prezzo esorbitanti. Forse era caviale e noi avevamo dimenticato l'alfabeto.

- Quanto resta?
- Poco. Direi che possiamo andare all'ufficio postale di Roses. Forse il vaglia è arrivato.
- Altrimenti?
- Ci sarà, vedrai. Poi andiamo a Barcellona.
- E poi?

Camminavamo rattrappite nella nostra frustrazione, verso l'uscita del paese. Ci si fermò subito vicino un contadino asciutto, silenzioso. Il camioncino blu aveva due sedili larghi di skai ben cucito, e odorava di terra e di concime. Claudia guardava dal finestrino e fumava. Io e un piccolo vitello, che stava buono buono ai miei piedi, ci siamo guardati come fratelli: aveva la pelle color cannella e rosa, i zoccoli avorio. Poi ha abbassato gli occhi dolci, e ci siamo lasciati insieme spostare e strattonare dalla strada tutta curve, aprendo le narici quasi all'unisono nel sentire l'odore delle ginestre e del timo che entravano a folate, nel vento fatato che ogni tanto sorvolava il mare, quello che ogni tanto si vedeva, blu metallico schiacciato sotto il sole. Il rumore del motore e il silenzio del vitello. Due strilli di gabbiano e il calore del vitello. Le mie mani che prudevano per toccare, abbracciare. Ci separamo ad un bivio prima del paese. Nelle strade già odorose di fritto e di paella lasciai per sempre la vita del vitello.

<< Home