Chiudo gli occhi e il tempo riparte
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Ah! Quella là poteva aspettare che passava l'autobus per attraversare, no? - No, signora, l'autista ha fatto bene, la precedenza sulle strisce è del pedone, lo sa?Il 16 è quasi vuoto. Io so che i paseggeri distratti e l'autista ci ascoltano. Sono scene che soltanto a Roma possono succedere; è neorealismo in un mezzo pomeriggio primaverile, sonnacchioso. La signora si ricorda delle norme di traffico, coincide con me che tocca sempre affermare i propri diritti di pedone (io di solito fermo le macchine con un immaginario martello gigante di pongo) e parte una conversazione non-
blogger, di quelle in cui due totali sconosciute si toccano, una all'altra ci diamo un sorriso e un grosso trancio di vita, oltre a un sentito gran calcio nel sedere alla paura della morte. Una vita da ascoltare è breve, gli anziani sintetizzano meglio di
twitter emozioni e trascorsi che si raccolgono in decine di anni, e alla fine rimane un racconto fatto di voglia di vedere i tramonti (sul Tirreno si vedono le albe, sull'Adriatico i tramonti), la luna e il cielo grande tutto per chi lo guarda con l'intensità umana che è in tutti a tutte le latitudini, da
Dubai a Città del Messico, alle Svalbard come alla
Feria de Abril.
Una donna minuta e adesso più indomabile scende a piazza dei Cinquecento per continuare il suo viaggio urbano. Io mi lascio inghiottire da quel
patchwork di visi di tutte le etnie che vive come in uno
slum mobile intorno alla stazione, e che mi fa un gran bene quando sono confusa; quando mi chiedo chi sono e dove vado, se è giusto quel che sento o quanto sono stanca di sentire, in mezzo a questo viaggio continuo e concentrato che sono le stazioni o gli aeroporti io mi rassereno...
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Questi giorni sto più
qui che qui.
Perché? Come dice
Antonio Fumero: perché quel che è buono, se è breve, due volte buono.
Mi domando se non finirò a scrivere citazioni anziché post...
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Oggi è il compleanno della ia città adottiva, ma io non me ne accorgo molto. Mancante di quelle manifestazioni festose caotiche che riempiono intere settimane in Spagna (per non parlare dell'estate, ove un viaggiatore senza impegni può passare di festa di paese in festa di paese senza mai staccare) e che sono completamente assenti nella Capitale (quelle piccole manifestazioni di quartiere o di parrocchia m'inteneriscono
er core), non so bene, anche se potevo presuicidarmi andando
agratisse ma sotto il caldo e nella calca a vedere i Musei Capitolini, il Marc'Aurelio o la Lupa. Mmmh, darei un occhiata ai
supercalifragilistici.
Indecisa, stamane ho celebrato nel luogo che è più Roma per me:
Termini. Passeggiata in ascolto di annunci e brani di conversazione, osservazione di colori e materiali, un senso di pre-estate ogni volta che guardavo il muro di uffici su Via Marsala:
dietro ci starebbe così bene il mare, pensavo, come sta dietro alle stazioni di treno delle Marche, la cui linea corre quasi a bordo spiaggia... Chi ci può andare, passi al Mezzanino Giallo, ignorando il
Koyaanisqatsi continuo di biglietterie, posta e punti informativi, e vada a vedere una delle mostre del
FotografiaFestival, interni dell'Eur ed esterni di Montalto, paesaggi antichi e resti di battaglie. Ammirate l'occhio potente di questi fotografi.
Nell'attesa che la Cappa Mazzoniana diventi un ristorante, spero con bar accessibile, nel chioschetto al binario 28 c'è un buon caffé, peraltro protettissimo da un santino di Sant'Andrea attaccato alla macinatrice. E sul Vivalto che mi porta di ritorno, comodo quasi come la mia macchina, guardo le case affacciate sulla ferrovia con invidia...
Una poesia
Cosa posso chiedere a te, amico fragile,
dalla vita già così piena di foglie che scalpitano
per essere viste, sentite e cantate. Difatti taccio.
Eppure avrei bisogno di non guidare, io,
qualche volta. Di poter
guardare il cielo come da un terrazzo,
con accanto le ali della città, i suoi panni stesi,
e immaginare che sotto non c'è nulla, che il tempo
non è più da correre.
Abbandonata a te come se fosse l'ultimo giorno
di vacanza nell'atollo
e ognuno partisse, dopo, per un lungo viaggio.
One step beyond
Oggi ho fatto veramente tanti di quei Peppe's tour (in romano "
giro de' Peppe") per evitare i mostruosi ingorghi prodotti dall'avvio insieme
der tempo bono e
dei vari lavori stradali intorno alla Tangenziale, che mi è rimata soltanto voglia di giocare.
Sono bambinate.
I love Scalextric
Se
come al solito finisco per perdermi nei meandri delle iperboliche uscite della Roma-Fiumicino verso le nuove zone commerciali e/o fieristiche, ma anche verso ampi settori di nulla con l'impossibilità di tornare indietro via una normale uscita a trifoglio che ci rimetta sull'asfalto e non su strade misteriose coperte di fango e di buche, poi non posso continuare normalmente, come se niente fosse. Fuggendo da una piogerellina ridicola entro nel Mac appollaiato nell'area di servizio, dove alcuni bimbi celebrano una delle loro feste di compleanno a tempo, seduti per terra, tra il meganegozio e l'entrata di avventori affamati di scatolette e patatine+koka.
Una penna, volevo soltanto una penna. Non c'è, e vabbé. Un orgia di prodotti luminosi, inscatolati o intristiti, appesi là nel silenzio, assorbendo l'odore di fritto, ma non una scatoletta di colori. Allora ben venga un
Blocco Enigmistico, metafora perfetta di come io affronti di solito la segnaletica stradale che appena usciti dal Raccordo investe da ogni dove le mie deteriorate capacità di attenzione. E rumino una
Rotella e rinnego nella mia linguamadre contro le decine di gru che stanno su collinette che fino all'altroieri contrastavano il cielo con un'esplosione di gialli fiori di senape; perché per poter vivere bisogna potersi anche muovere, senza perdersi, a piene luci, senza doversi rintanare in nuovi quartieri che stanno come barche in panne in mezzo al mare del nulla. E vado a rifugiarmi nell'Eur dove c'è l'umanità: i venditori di rose si avviano verso la notte, dentro una BMW un ragazzo si sistema accuratamente i capelli mentre i suoi due cani puntano i loro nasi verso il semaforo, un mendicante si allontana con un zainetto verde, com'è verde e spento oggi il Palazzetto dello Sport, come la nebbiolina verde che galleggia sopra il laghetto, dove si specchiano i palazzoni come fossero
Moai de noantri. Com'è verde la doppia fila di pini della Cristoforo Colombo, dove sento riposano, e ci guardano, bimbi immaginati seduti sui rami, che lentamente piegano il verde lavato delle chiome, lo sfumano nel nero della notte, dormono sognando il fiume bianco dei fari delle macchine...
Il turismo non fa bene alle città. Arricchisce alcuni, ma impoverisce il paesaggio. Posso tollerare i solitari e coloro che arrivano qui con la curiosità di chi guarda tutto con gli occhi di un polacco in Africa; per il resto, sento un certo disagio. Grupponi immensi attorno alle grandi basiliche che hanno perso ogni possibile mistero e senso di sacralità; fiumane che guardano i negozi (non i cortili, non gli argini del fiume) mentre camminano e ogni tanto si fotografano davanti a Pasquino o alla prospettiva del Tridente; coppie e quartetti che mangiano nei ristoranti vicino a Campo dei Fiori alle 5 e mezza di pomeriggio, che entrano nel Pantheon e si lasciano portare dal brusio delle torme, senza spendere più di un attimo per sentire dentro la meraviglia che produce quell'unico, mobile pezzo di cielo - ora, pare, chiuso da un vetro, artificializzato - tutto di chi lo guarda.
Mentre penso, vedo scendere da Piazza San Giovanni una raggiera di romani veri e acquisiti; alcuni prendono l'autobus a volo, altri vanno, stop. Davanti all'unica bancarella della piazza - dove prima o poi mi comprerò una maglietta o un piccolo Colosseo di resina, capolavoro di mani taiwanesi, soddisfacendo così il mio senso del
kitsch e anche la mia stranierità - sostano persone che stanno per entrare o sono uscite dalla
Scala Santa. Non posso sottrarmi a una delle poche, impressionanti manifestazioni di un non so che, perché non so se chiamarlo fede o può avere altre definizioni, più complete; salgo per la scala laterale, entro nel negozietto a guardare le statuine luminose o i mille colori dei rosari - qui riparliamo di
kitsch, ma anche di un certo tipo di negozio, di un certo tipo di mercanzia e dei suoi significati nel tempo - e poi attraverso la scala centrale mentre arrivano piano piano coloro che, in ginocchio, sono saliti gli scalini di legno. Tra di loro ci sono signori, signore, ragazzi con i zaini, coppie silenziose. Coloro cui l'età non permette una tale ginnastica salgono a piedi dalla scala destra, guardando di sottecchi, come diminuiti, coloro che scendono: turisti distratti che entrano per entrare, cercando chissà cosa. E sento intensamente cozzare quei silenzi con queste frette, vado via un po' frastornata, mi rifugio nel guardino interiore di
Silvia Stucky, un fresco sbocciare di fiori blu come in una, lontanissima nel tempo e nello spazio, casa araba.
Primavera-bbblog
Caro mio blog,
lo so, ti sono mancata. Un po' come un animale, eri in attesa, fiutavi roba confusa; e intanto macinavi
movimento,
esplosioni, risate e dubbi, auguri di Pasqua, etc. Adesso torno e ti trovo sempre bianco, sempre lì al mio fianco, pronto come una salviettina umidificata a pulire i resti del mio passaggio in pozzi angusti, sorridente mentre mi spieghi come scrivere, ridotta io a un misto tra i due
San Matteo, una specie di bruta analfabeta.
Adesso però
nun t'aggita' troppo. Piano piano.