giovedì 12 aprile 2007

Modernità liquida

Il turismo non fa bene alle città. Arricchisce alcuni, ma impoverisce il paesaggio. Posso tollerare i solitari e coloro che arrivano qui con la curiosità di chi guarda tutto con gli occhi di un polacco in Africa; per il resto, sento un certo disagio. Grupponi immensi attorno alle grandi basiliche che hanno perso ogni possibile mistero e senso di sacralità; fiumane che guardano i negozi (non i cortili, non gli argini del fiume) mentre camminano e ogni tanto si fotografano davanti a Pasquino o alla prospettiva del Tridente; coppie e quartetti che mangiano nei ristoranti vicino a Campo dei Fiori alle 5 e mezza di pomeriggio, che entrano nel Pantheon e si lasciano portare dal brusio delle torme, senza spendere più di un attimo per sentire dentro la meraviglia che produce quell'unico, mobile pezzo di cielo - ora, pare, chiuso da un vetro, artificializzato - tutto di chi lo guarda.

Mentre penso, vedo scendere da Piazza San Giovanni una raggiera di romani veri e acquisiti; alcuni prendono l'autobus a volo, altri vanno, stop. Davanti all'unica bancarella della piazza - dove prima o poi mi comprerò una maglietta o un piccolo Colosseo di resina, capolavoro di mani taiwanesi, soddisfacendo così il mio senso del kitsch e anche la mia stranierità - sostano persone che stanno per entrare o sono uscite dalla Scala Santa. Non posso sottrarmi a una delle poche, impressionanti manifestazioni di un non so che, perché non so se chiamarlo fede o può avere altre definizioni, più complete; salgo per la scala laterale, entro nel negozietto a guardare le statuine luminose o i mille colori dei rosari - qui riparliamo di kitsch, ma anche di un certo tipo di negozio, di un certo tipo di mercanzia e dei suoi significati nel tempo - e poi attraverso la scala centrale mentre arrivano piano piano coloro che, in ginocchio, sono saliti gli scalini di legno. Tra di loro ci sono signori, signore, ragazzi con i zaini, coppie silenziose. Coloro cui l'età non permette una tale ginnastica salgono a piedi dalla scala destra, guardando di sottecchi, come diminuiti, coloro che scendono: turisti distratti che entrano per entrare, cercando chissà cosa. E sento intensamente cozzare quei silenzi con queste frette, vado via un po' frastornata, mi rifugio nel guardino interiore di Silvia Stucky, un fresco sbocciare di fiori blu come in una, lontanissima nel tempo e nello spazio, casa araba.

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