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Non ci siamo resi conto, presi dalle conversazioni infinite, o piuttosto io mi sono staccata, concentrata sulla tua voce mentre passavamo sopra una specie di pista di laterite, mentre costeggiavamo case nei cui giardini ancora razzolano le galline, condomini cicciotti posti ai bordi della strada, schivando le machine che mi si buttano addosso dalle strade laterali, e l'intorcinamento dei lavoratori automuniti presi nel caos del turno di pomeriggio: passiamo vicino a una pagina di libro schiacciata nella melma acquosa, e immagino le parole, mi gusto la caramella mentale di una metafora, mentre saluto la guidatrice che mi ha permesso di svoltare a sinistra e fiondarmi nello stradone che porta da TorCervara all'autostrada; affronto il curvone, alzo tende d'acqua dalle pozzanghere, sono insieme le mie dualità atterrita-incosciente nella pressione del piede sull'acceleratore, sono sulla corsia ottusamente grigia.Tu parli di cose che mi piacciono e per cui non ho tempo, una coscienza che mi ferisce come questi indefiniti corpi metallici che sorpasso - nemmeno posso vedere gli occhi degli altri sugli specchietti - mentre sto su una fioritura di luci rosse come fosse seguire pedissequamente le righe di un programma, e tu parli e io penso ad una pagina di un libro di Roth che ti riguarda completamente, è ritagliata su di te come uno scoppio di risata, e so che non potrò mai raccontartela, chinati complici su di un thé o una birra o anche niente.
Perché il tempo ci trascina in un infinito atterraggio su piste puzzle istantaneo, così vicini e così lontani, ed è così caldo il mio palmo di un solo essere stato sfiorato che brucia e si perfora mentre ti allontani nella pioggia.
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