sabato 5 gennaio 2008

E tu così bella non ce l'hai



Guggenheim Bilbao, versione invernale.

Quando torno dalle terre spagnole succede sempre che il giorno del viaggio ci sia pioggia battente e vento in quota e a terra, e io di solito parto all'alba. E' una versione pastamistesca della nuvoletta di Fantozzi, e tutte le volte mi tocca pregare tutti i miei dei e recitare micromantra mentre afferro la solita rivista on-board e faccio finta di leggere con gli occhi incrociati tra lo spagnolo e l'inglese, messi lì graficamente paralleli e con colori contrastanti; un invenzione di vorrei-sapere-qui per confonderti e rintronarti i pochi neuroni non impegnati a registrare ogni rumore sospetto e a rigettare mentalmente le istruzioni per l'emergenza.

Ci fosse mai una volta che non è coincisa la solita burraschina. Ma quando l'aereo scende verso Castel Porziano, dita incrociate ancora, tiro un sospirone di sollievo: sono a casa.

Qui, dove non fa mai freddo, dove si può attraversare la strada davanti casa (deh, a proprio rischio e pericolo). Dove i resti dei botti di Capodanno stanno sui marciapiedi fino alla Befana (alcuni marciapiedi). Dove la gente cammina sulla strada causa invasione di motorini, foglie turbinanti e i suddetti (ed altri) resti dai luoghi deputati ai pedoni. Dove gli innamorati giovani scrivono Ti amo (più cuore e data, più fiori e stelle) sull'asfalto, davanti ai portoni delle case delle amate.

Non è della pizza o della pasta di cui ho saudade quando sono lontana. E' di questa confusione febbrile, incredibile, a volte terribile, a volte ridicola, estremamente piena di umanità in tutte le sue sfumature; è di questa imprevedibilità, da questo senso di rischio e di speranza, anche, di cui non posso staccarmi...

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