Zoppicar nelle nuvole
Furgoncino sulla tangenziale. Sulla scatola: "Vento. Prodotto importato"
Annaspo, intrappolata da macchine che non vedo, dentro lo sciroppo nero e denso di robinie che è il parcheggio. L'orecchio è teso, collegato con il piede del freno, pronto a cogliere uno scivolare di lamiera su lamiera, che non deve succedere oppure mi sentirò male, insopportabilmente; e nel manovrare per uscire dall'oscurità, come in quei sogni dai quali ci si sveglia con la bocca amara, vengo bombardata da luci gialle, verdi, rosse, da riflessi delle magliette e dei motorini dei ragazzi che fanno parlare gli scarichi taroccati nel silenzio della mezzanotte.
Che silenzio, adesso, nei lungoteveri. Tutte le macchine fluiamo senza un claxon, senza i normali strilli dei gabbiani del fiume. Come in un gioco al computer in cui la realtà fosse ridotta al minimo, molto vicina all'emozione animale: mi sento la febbre di correre fino a quando la strada finisca, da qualche parte in mezzo a un campetto bruciacchiato, inospitale; e lì aver paura, e voglia di tornare.
Girare, sorpassare, nella radio un tunztunz che mi si incolla al cuore; ritmicamente pensare e s-pensare a te con gli occhi bassi e un peso di dolore, ritmicamente pensare e s-pensare alle mie mani fatte di stelle, notturne e lievi, che ti disegnano mentre dormi, che ti creano l'ombra e i riflessi strillanti della luna, di bianco puro.
<< Home