domenica 1 ottobre 2006

Goloserie

- Panna?
- Sì, grazie.

La domenica, i ragazzi di Fassi spandono e spendono panna in quantità, più degli altri giorni. I contenitori della montapanna, troncoconi d'acciaio che sembrano le api regine della gelateria, vengono svuotati a gran velocità verso le vaschette-figlie. Mi porto al tavolo cinque centimetri alti di una roba densa e grassa, dolciastra ma poco, e che sa e odora come quella pannetta che lasciava la bollitura del latte crudo un tempo, e con cui mia madre faceva, a mano, il burro: sotto, marron glacé e malaga con le uvette un po' ubriache. Come il miele, come le fritture, come il brodo di Natale: ci devo immergere le labbra, pulirmele come i bambini, con un sorriso che è complice solo con me, la mia parte bambina. L'altroieri Stefano Bonilli parlava di bar e caffé d'Italia in un programma ipermattutino (che mi sveglia chissà da quanti anni; sempre più ansiogeno verso le 6.50, quando purtroppo vince la pubblicità e l'odore del caffé e mi tocca alzarmi) e la conduttrice chiedeva dei bar di Roma, ottenendo un lieve, direi triste, ma tangibile sorriso telefonico: no, qui non ci sono quei caffé da sogno di Torino, evvabé. Ma, pensavo, in cambio abbiamo le gelaterie così, vere fraschette del gelato, dove i cinesi vestiti a festa (diversi dalla maglietta+jeans dei giorni di lavoro) si radunano in gruppetti, mentre le coppie si portano i frulletti o i gelati nella mano libera, escono abbracciati; le signore che stimano l'arte della passeggiata pomeridiana attaccano le cassate o i sampietrini ricoperti con un'abbreviatura del secchio della panna. Qui c'è la stessa conversazione sommessa dei caffé, la luce non eccessiva che invita al giornale, le panchine comode o i tavoli fatti con il marmo originale, del 1928; ma anche l'acqua bella fredda aggratis, e il cortiletto fumatori con i suoi affreschi, dove di solito si avviano tipetti con la sigaretta penzoloni, gli occhi sul cellulare e il cono nella mano sinistra, come una candela.

Eh sì. Ma non siamo al nord qui. Al nord manca questa grossa pennellata di rosa, che cala lentamente sulla città mentre cammino per Via Santa Croce in Gerusalemme. Prima i cornicioni, poi i balconi, poi la facciata che sembra anch'essa sciogliersi; ma io scendo verso casa, lì c'è ancora un tempo di luce indefinita, piatta. Poi arriva il ponentino e i gabbiani che strillano con il rosato e l'arancio dipinti sui bordi delle ali. Me la portano al balcone, la luce. Chiudo gli occhi e sogno...

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