giovedì 21 settembre 2006

Yo no tengo más que este corazón

Eccolo, sta là dietro: il camion dell'AMA, my friend, un animale amaranto che blocca tutti quei rallysti da strapazzo che dalle 8 alle 9.30 strombazzano appena il muso dello squalo sporge dalla recinzione del garage. Esco e vado in una mattina lavata, ovviamente leggera: se due sono le alternative per una previsione di massima di come andranno le mie giornate (il camion dell'AMA lo trovo davanti o dietro), allora posso attaccare con una cassetta di musica da sfacciati, ammirare una municipale misura 42 (divisa dal taglio perfetto, non un capello biondo fuori posto, i blocchetti delle multe tenuti nella mano sinistra come piccole Vuitton), ricevere un clin d'oeil d'acciaio dall'aereo che tutte le mattine scende virando sopra i curvoni della tangenziale alle 19.38 circa, e girare in perfetto accordo con i treni che sotto i piloni vanno, vanno.

Invece, capita che non ci riesca ad andare a ritmo, il camion sta davanti a me e recita il telegiornale noioso dei secchioni verdi: sono fuori fase loro, sono fuori fase io, tra il catatonico e il perplesso, sentendo forte che devo fare qualcosa - anche formulare un pensiero spezzerebbe il torpore, un limbo che somiglia alla sensazione che si ha appena svegli dopo una notte brava, un dove sono, o piuttosto perché - qualcosa che non sia, però, sentire un'assenza: lì c'è un flusso più sotterraneo, che sottrae a ogni attenzione, che mi scioglie insieme alla prima rugiada posata come un tuo bacio sull'erba delle uscite del raccordo. In esso vado. In un breve chiudere gli occhi t'immagino, le braccia dietro la testa, ricevere il primo sole. Ne sento il calore, nostro in questo secondo; mi sveglio, mentre con una gran curvata furibonda finisco sotto gli occhi nocciola di due gemelli che mi guardano dalla macchina davanti, le magliette pistacchio, lo sguardo come noi: e vo' cercando sui visi dei camionisti e dei motorinisti e semplici passanti quella corrente dolce, l'amore...

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