venerdì 1 settembre 2006

Il Triangolo di Pittaluga

Tre come le Pipettes, ma in tre sfumature di biondo da parrucchiere, ingioiellate di corallo e occhialate nere (contro un sole che costringe a stare ben dritti in macchina, per evitarlo sugli occhi, ma che nel frattempo ti prende al collo come una mano calda), mi hanno seguito a bordo di una Ypsilon nera quasi fino al lavoro, stamattina. Ho comprato il giornale ai venditori del semaforo della Tangenziale, che in previsione del grande ritorno dei lavoratori frequentanti il percorso si sono fatti in tre, ognuno con il suo grembiule colorato e una capacità fulminea di percorrere il tratto di marciapiede, stretto come un ponte tibetano, che separa il compratore potenziale dal suo giornale preferito. Perché oggi finalmente il traffico è ritornato normale, una moto mi ha sorpassato sfiorandomi stretta (un altro millimetro e...), trattori solitari di camion giravano goffi sul raccordo; file, frenate, e una Brera color acciaio che scivolava davanti a tutti come un ghepardo, con dietro i miei occhi.

Quando l'estate va verso la fine, la luce del sole diventa prima molto luminosa e spessa, quasi solida, e si va ammorbidendo nelle settimane fino a esaurire il proprio calore in rosa e arancione, sui monumenti, sui romani e sui ricordi dei turisti. All’entrata della galleria Pittaluga c'era stamattina un fascio perfettamente triangolare, quasi minaccioso, che bisognava attraversare. In macchina tutto è molto veloce. Ma ho quasi sentito il calore percorrermi come uno scanner, come una finta in una coltellata.

Mi sentirei meglio davanti al computer a scrivere storie di persone, mi sono detta. Di tutti quelli che vedo attraversarmi davanti ogni mattina, ognuno con un suo piccolo mondo in parte percepibile e in parte inventabile. Di tutti quelli cui sento la presenza o la mancanza...

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