sabato 27 maggio 2006

Saturday afternoon

Tlak, sguish, sguish...? gggh, gggh (e basta). - No, porc, la macchina non parte, ecco che mi succede a lasciarla così abbandonata... Pronto, ACI? Che per caso avete qui nei dintorni qualcuno dei vostri furgoncini-meccanico? No? Ah, sono tutti impegnati con l'esodo al mare? Mi serve soltanto un vostro addetto con i morsetti, la batteria della macchina purtroppo è defunta e... N° di tessera? Ecco, il 23456789. Come? Scaduta? Sì, ma porc, quelli della delegazione mica mi hanno scritto e... Via, sono soltanto 5 giorni... Ah. Sì, aspetto. Ok. Aspetto, un camion? Va bene, grazie, grazie e grazie ancora....

Il sole di maggio sa di attesa, è una luce flou che cade verticale sui parabrezza, una cosa che un po' acceca, che aspetta negli angoli delle strade maldefiniti da un ombra ugualmente pigra e dubitativa. La città piega il collo, me lo piega in colori marmorizzati che si sciolgono dalle facciate rosa e pistacchio e crema e cioccolato, come se negli occhi avessi una cataratta. La città attende, ribolle. Ribolle maledettamente sul mio squalo. Il parcheggio coatto, almeno finché non arriva l'uomo ACI, è al sole.

- Questo frigorifero pesa un accidente.
- Dai, alziamolo insieme.

Le due spazzine sono arrivate con il camioncino dei rifiuti ingombranti e hanno girato un po’ intorno al frigorifero da portare via. L’una è secca e forte. L’altra più molle e lagnosa. Bionda e mora. Due ragazzi allaciati per la vita le guardano - ma soltanto un po’: poi a terra, poi occhi negli occhi innamorati - e anche alcune signore nervose che passano, tenendo il guinzaglio molto in alto, e lì legati cani piccoli neri, bianchi, marroni, che fiutano tutto e non stanno mai fermi. Nella stradina laterale, padrona di almeno mezz’ora di tempo perso, le seguo con la coda dell’occhio anch’io mentre miliardi di scaglie dorate galleggiano sul Tuscolano – adesso: poi chissà dove, prima chissà dove – , e i suoi isolati sessanta e settantini sono percorsi da raggi lenti e trasformati in piccole allucinazioni di strade cubane, oppure istantanee di paesini texani, dove si alza la polvere e i carburatori dei camioncini sono sporchi, in cui la gente alle 14.24 dorme - è ovvio, è sabato, accidenti a me potevo aver fatto accendere la macchina a qualcuno - dorme una siesta propiziatoria del ponentino. E nel bar di fronte si avvertono le tracce del passaggio tra il caffè al vetro e il caffè freddo: le bottiglie panciute, velate di condensa, sono maneggiate con unzione dai baristi, girate come si fa con un vino che invecchia. Le rotatorie colorate delle granite artificiali. Le grandi pulizie nelle terrazze interne. La polvere dell’estate vecchia si alza dai gazebo appena aperti. Le sedie che si affacciano timida e illegalmente sui marciapiedi.

- Signò, che caldo. Ma cc'ha fatto? C'ha lasciato 'e luci accese? Mo' sistemamo tutto. Accenna quanno glielo dico io. - sono sicura che quando torna a casa si strappa il giubbotto riflettente, la camicia e la maglietta, dentro il camion. L'addetto ACI mi fa firmare il classico foglione, mi dà la mia copia stampata in rosso e se ne va con il camion di recupero che porta una bella Golf nera.
Brrm, brrm. RRRRR.. (minimo) SSzzzzz, slash (finestrini aperti e capelli davanti agli occhi).

(Musica)

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