venerdì 5 maggio 2006

It's a shame

- Mmh, forse sono arrivata un po' troppo presto? - dico al guardiano del parcheggio, che è appena arrivato ed ha già il piazzale pieno di macchine da spostare.
- Signò...(l'aria freddamente irritata) damme le chiavi, arrivederci, ho un sacco da fare.

Ci sono giorni... mattine, pomeriggi, in cui ricevo stilettate di tutti i tipi. Ho analizzato spietatamente le dinamiche dei miei malintesi, le frasi disgraziate che dico e vengono capite in modo diverso da come io le avevo collocate nel mio vissuto hic et nunc, di quel momento. Le volte che dico le cose senza pensare, che presento al pubblico zone di me naturalmente ambigue, spiazzanti, quando non riesco a spiegare le mie mille sfaccettature, l'incompiutezza. Le nostre vite spesso si scontrano nelle parole e io non ne capisco il motivo. Le persone vanno e vengono, idolatrano e dimenticano con la stessa intensità, e io resto la stessa, in balia di uno dei miei più grandi perché di sempre. Costretta sempre a ripartire e ad affrontare la normalità, che le situazioni normali siano queste, che ci sia sempre instabilità.

Fuori dalla finestra, l'acquazzone standard delle mezze stagioni romane. Il cielo è diventato piombo e poi acciaio blu, non temperato, non inox ma non per questo meno metallico. La luce di un sole giallo stacca gli edifici dai loro volumi e li avvolge in una tensione tangibile, rende spugnosi e sporchi i travertini, mentre gocce grosse come un euro vengono verso di me ed hanno una coda di linee nere, di traiettorie visibili e inquinate; scoppiano furiose sui vetri della cucina, come le domande che mai non mi arrivano, e scivolano, si assottigliano e spariscono come il rimedio che non pongo mai...

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