giovedì 6 ottobre 2005

Always searching for paradise

Lo sposo, dopo aver finto il bacio appassionato in mezzo alle rovine di Villa Celimontana, si accende una sigaretta e fuma con la destra mentre cammina reggendo con l’altra mano velo e strascico del vestito della sposa. Rassegnati e insieme paciosi seguono i fotografi, che vanno sfuocati verso il malinconico tramonto portando a spalla cinepresa e schermi riflettenti. Le nuvole vanno piano piano arrossendo dietro i pini, credo i più alti di tutti i parchi cittadini. In mezzo a scorci di alloro e lastre di marmo istoriate corrono ragazze con felpe anonime: un sorso d’acqua alla fontana e via. Vicino ad un roseto che circonda una stele, un tipetto un po’ appesantito fa degli esercizi di streching. A dieci metri, su di una panchina, la sua morosa raggomitolata, i piedi appoggiati sul sedile, guarda davanti a sé un nulla fatto di attesa di lui, di obbligatorio zen. Sopra l’edificio della Società Geografica il cielo è più bello: i restauratori delle facciate hanno usato un colore da confetto e anche da tramonto, sul quale scivolano allegre strisce, piume, fiocchi di nuvole.... Vado verso l’uscita. Le grandi carpe grige sonnecchiano nella fontana. In mezzo allo spiazzo ora vuoto dove nelle sere d’estate c’è la rassegna di jazz è rimasto, potente proprietario, un pezzo di strada romana; il selciato rotondo è braccato dalle pozzanghere e dal fango marchiato dai camion. La porta è rimasta qual’era, con l’anno 1651 ben visibile, e ai lati due grate verso le quali si può salire da dentro, per guardare verso il Palatino, per sentire l’odore del fiume. Quanti innamorati là sotto, quanti gatti a giocare - come questo qui, felino giovincello dall’orecchio mozzato - con un filo rosso, una cordicella, la pallina di pezza persa da un bambino?

San Giovanni e Paolo è in sé stessa un sovrapporsi, finestre mezzo murate e colonne rubate solitarie sotto archi romanici un giorno dipinti: e dentro il pavimento cosmatesco dona mistero ai passi, le luci basse rendono freddi e meccanici i resti del matrimonio appena finito. Il guardiano, prima seduto presso l’acquasantiera, mi cammina rumorosamente dietro, mi manda un messaggio che non voglio sentire mentre sono lì concentrata, senza respirare, ritorta nel voler cogliere con la mia macchinetta - senza flash - la luce del sole sugli ori della cappella barocca. Finalmente esco e lui chiude i cancelli senza nulla dire, tutto rumori di cardini ferrati e di chiavi; il sole finisce di baciare i porfidi e le ceramiche del campanile romanico, appoggiato su resti romani durevolmente bianchi nell’ombra che va lentamente calando.

Intanto, non so come, mi sono morsa l’interno delle labbra. Una sensazione buffa, come se dentro alla morbidezza fosse cresciuto un monticello ribelle, cui non so cosa fare. E più mugugno dentro parole per te, più mi mordicchio, e mi viene da ridere a pensare che se tu…. Attraverso il passo pedonale seguendo il dito puntato che un bimbo biondo, dentro un passeggino, dirige verso qualcosa che fa parte della vita e che non so. Forse questo illuminatissimo supermercato.

- Grmbrzzlxff…!!!! – provo ad aprire la busta di plastica mentre la spesa corre sul nastro.
- Sì, ce vo’ ir master, pe’ apri’ queste bbuste – fa la cassiera, guardandomi da sopra gli occhiali rettangolari, rosa.

Le buste, la borsa, trilla il cellulare, un clone del gatto di prima mi guarda mezzo nascosto dietro alle siepi di bosso del giardino. E io mi mordicchio piano, e non rispondo.

<< Home