Blues for eating the black
Notte Bianca 2005: Les Fous de Bassin, Laghetto dell'EUR
La pioggia e l’autobus che non arriva sono già una conversazione in se stessi, un alibi per chi è solo in quel tempo di attesa. Aspetto un autobus verso l’Eur. Ombrelli e luci strisciate, gli autisti che passano nelle loro bolle appannate. Un ombra nera si raccoglie sotto il ponteggio dove mi sono protetta dall’impietosità del cielo.
- Scusi, quando passano qui, gli autobus? Non ne so niente, mi si è rotto il motorino sulla Tuscolana e devo tornare a casa…
- Bella iella.
- E dire che venivo da Prati.. sono zuppo…
Devo resistere, non ridere troppo dell’umanità alla quale sono disabituata. Sarebbe come ridere di me stessa e il mio SuperIo non me lo permette mai. E’ così buffo, sincero e non distante, tutto di nero vestito, occhiali e codino: un’ombra della mia generazione, con una busta di plastica bianca in mano, le cose che portava nel bauletto. Scivoliamo in fondo all’autobus che ci porta dentro i suoi vetri appannati. Parliamo di tutto e di niente, ridiamo. Rispondo sincera. Ama il 600 veneto. Io le nature morte del 600 spagnolo. Scende a Piazza dei Navigatori. Non ci vedremo mai più.
Piove, piove. Dopo le macchine ed i fuochi di artificio - sola in mezzo alla gente che fa mesti “ooh”, bagnata fino ai capelli, mentre io divento bambina, gli occhi spalancati e le cellule della meraviglia aperte, gridando come sempre ad ogni lancio di stelle colorate, piena di luce fino agli orli della ragione - sosto dieci minuti all’incrocio tra la Colombo e viale America. Chissà per quale effetto atmosferico le nuvole sono bianche e il cielo blu: la notte non è nera, e dunque non è rifugio. Vado verso il centro, ma rinuncio. Piove troppo. Ho bisogno di calore e di un caffé duro, senza zucchero.
La solitudine è come la malaria: a periodi di crisi subentrano altri di calma. Nella febbre, vedo avvicinarsi le ombre degli incontri spezzati o fortuiti, l’incompiuto che richiede una risposta. Nella calma, ne dipingo la memoria..
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