lunedì 26 settembre 2005

Big City


City lights
(La foto è di Damiano)

Da grande volevo fare il tassista. Volevo portare donne chiacchierone e uomini taciturni mentre fuori una nuvola autunnale, soltanto lei a coprire l’orizzonte, si riempiva di arancione e di rosa come un mucchio di fondant colorato a goccia a goccia. Avrei schivato il traffico e portato a casa nonne e bambini e coppie litigiose mentre la notte sottraeva il rosso al tramonto fino a farlo diventare sempre più viola e poi di un nero slavato dai lampioni e le insegne. Sarei andata giù per la Tuscolana o la Tiburtina, tratti da rally urbano nei quali il volante oscilla nell’evitare a destra e a sinistra e davanti gli squali che si buttano in pista come biglie impazzite. Sarebbe scesa la notte, scivolando sullo stesso piano temporale dai quale i piloti vedono salire, dalla terra che loro stessi avvicinano, la fluorescenza del traffico, mentre gustano per primi i calore che l’asfalto rende come un marchio d’identità per tutti color che si muovono insieme. Là sotto i motorini sarebbero guizzi bianchi, tracce di una domanda che gela e poi riprende il flusso interminabile: adrenalina… Cercherei. E tu staresti all’angolo di via del Quadraro, sotto le case dai lunghi balconi bianchi e le facciate da Mondrian semplificato, sfumato dalle luci aranciorosate di una ricostruttrice di unghie: le ragazze, da dentro, mentre si asciugano le french nails, ti guarderebbero sognanti. Faresti un gesto solo, come a svegliare il guidatore dell’autobus, e io mi fermerei vicino, come una barca che accosta.

- Non ho una vera destinazione.
- E i soldi?
- Non è un problema.

Avere un complice, che mi passa delle strane cassette da ascoltare, mentre fuori parlano le diverse misure delle luci. La musica è un virus, una pelle che ci scambiamo. Perché la notte è casa mia, nelle sue stanze canto e ballo e soprattutto guardo, dentro le case e le macchine: vedo la gente del mio sangue che guida come me, il gesto lieve, un eleganza animale. Guiderei senza meta, finché lei non mi buttasse finalmente fuori, come fanno le lenzuola dopo un vero, gustato dormire. Perché nella notte tu ed io abbiamo lo stesso sangue. Tutto batte allo stesso modo. Pedoni, semafori, la riga bianca sotto il mio pneumatico sinistro, le luci degli aerei. E il rap esce dalla radio come una febbre. Affermare con la testa, con le spalle, con le dita: capelli indietro, avanti il bacino: sì.

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