giovedì 22 settembre 2005

Materiali non friabili

Il traffico di Viale Liegi, costretto dai cordoli a ondeggiare e restringersi, è nervoso finché non si arriva al semaforo che immette in via Aldrovandi. Lì qualcuno ha progettato le curve più morbide di salita e discesa di un colle che non è tra i grandi sette, ma che non per quello lo è di meno: gli alberghi sono cloni di CostaAzzurra, con le loro buganville, i pini, le facciate che richiamano un mare che non c’è, che è lontano, rintanato ad Ostia a rimuginare l’estate. Arrivata nella discesa che costeggia il Bioparco, vedo un uomo anziano in una chiazza di sole. Scende in mezzo all’erba, vestito di nero, un po’ trasandato, la chioma bianca: mi ricorda le foto di Monet da vecchio. Piazzale delle Belle Arti è uno slargo, vale a dire, un momento di riposo e di riflessione prima di andare avanti, o indietro, o altrove. I tram stanno insieme ricurvi sui binari come cannolicchi colorati di una collana dimenticata al sole. GNAM, un’onomatopea di fame e di mangiar bene che in realtà poggia su un edificio bello ma sfortunato: soltanto un piccolo cartello annuncia la mostra. Nessun telone colorato e costoso. Attraverso le porte sulle quali si avvinghiano serpenti e nastri di legno, sbiancati dal tempo o da una troppo energica pulitura.

A me Boldini piace ma mi disturba. Il suo cinismo traspare nella pennellata sprezzante del pittore dalla tecnica inattaccabile, che prova ad imitare il tratto di Velázquez, ma non ci riesce, e deve non-finire in turbinio e tratti sfumati verso l'esterno: un gesto che non riesce a rendere più personale di così. Ma i visi sono perfetti, le donne e gli uomini sfrontati e carnali nella loro bellezza, sotto una luce disemotiva che nulla rivela se non il trionfo o l'orgoglio. La resa dei nastri, delle scarpe, dei gioielli, dei tessuti d'arredo, simboli della ricchezza, è stupefacente. I pastelli, che non gli permettono i grandi gesti agitati del pennello, sono di grande morbidezza, concentrati. Sono i soli quadri in cui sembra che non c’è insoddisfazione, oltre ai due splendidi ritratti di Verdi. E i primi, piccoli, sono vere fotografie, nelle quali i dettagli sono materici: i gioielli, il lucido delle scarpe, il pentagramma, il tessuto delle sedie, le pieghe e luci e ombre dei tappeti. Ma nessuna umanità, nessuna compassione, nemmeno nel proprio autoritratto da settantenne.

Mi domando se Gnoli o Bacon avranno mai guardato questi quadri. Dell’uno mi ricordo la resa eccessiva, la parodia del particolare come centro del quadro. L’altro poteva riconoscersi nella violenza delle pennellate turbinanti, che alle volte distruggono l’insieme, lo feriscono e lo lasciano sanguinare in una piuma, in una rosa che ci ferisce dentro, là dove nemmeno ricordiamo di avere una ferita... Entro nella libreria e mi perdo per un ora nei libri che non posso o che non voglio comprare, e ritorno sotto tappeti interi di nuvole, che sordi alle richieste dei raggi solari, gravavano da due giorni sulla città. La luce tenta in tutti i modi di bucare il manto sotto il quale si è nascosto il cielo. Ogni tanto scendono delle linee lattee che si fermano un po’, inconsistenti chiazze, e poi spariscono. Il chiasso della luce soffocata. Alla fine tutto il cielo si è mosso nel brivido violento del temporale, come un ascesso di tuoni e di pioggia rabbiosa, che tutto ha zittito, e soltanto il rumore da tessuto strappato che fanno le mie ruote sull'asfalto bagnato mi ha accompagnato a casa, gli occhi ancora schizzati di oro e panni neri..

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