September morn
Settembre è il mese in cui per svegliarmi ci metto di più. Ci metto così tanto che ho il tempo di sentire come ogni muscolo ed ogni elemento del corpo ritornano dolorosamente dal sonno. Mi sento tutta confusa, imbozzolata in qualcosa di ritorto e confuso quanto i capelli; le dita delle mani ricordano i tempi dei geloni, si accavallano come per proteggersi; i fianchi arrotondati non vogliono scollarsi dal bacio del lenzuolo. Scendo dal letto e i piedi ballano un pas à deux incoerente finché capisco che mi sono messa le infradito a rovescio, e mi precipito in cucina. Il caffé di settembre è il migliore, perché è il sapore che prova a vincere una sconfitta fisica con percezioni di puro piacere: dolce, amaro, bollente, profumato. Fuori è umido e pulito. I panni stesi in cortile provano un'imitazione casalinga dei panneggi delle statue del Bernini. La pittura sugli infissi non è completamente piatta. Ci sono piccole gocce, gobbe e rientranze. Lì il sole si è posato e finge che l’ha fatto su gocce di rugiada. Il mattino è come il tramonto: il sole mi chiama per offrirmi profili e ombre crude, superfici che mi danno un immediato conforto nella loro bellezza. La città tutta sta raggomitolata al limite della notte, restia quanto me al risveglio. Un solo secondo di consapevolezza di me stessa. Poi la finestra ritorna ad essere finestra.Le mattine di questi giorni sono un regalo del mare. Come in una chiacchiera tra amici in cui cresce una corrente di entusiasmo, il salmastro si spalma per le strade e i terrazzi; una vernice finale continua, che snobba le case e le lascia all’addormentato sole, alle tonalità rosa e arancioni dell’autunno a Roma, tanto turistiche. Sull’autostrada invece il salmastro disegna il ricamo della superficie del mare: riflessi rotti e punti di luce di argento ingiallito, che salgono e scendono, e per un momento il passare veloce delle altre macchine accanto alla mia mi ricorda il rumore delle onde... No, via, sono io che voglio estraniarmi dal traffico e dalla routine. Dalla radio escono le note di un bolero (quel luogo dove le donne devono sempre soffrire per meglio amare), allo stesso momento in cui una Golf nera finta e poi sorpassa e frena davanti a me perché c’è la fila pigra di tutte le mattine. Il guidatore, magliettato nero e scuro di capelli anche lui, da’ un pugno sul volante e poi rilassa le spalle con rabbiosa rassegnazione.
Le cornacchie hanno ripreso a fare le naturali telecamere sui lampioni che luccicano come pietre, perché la pioggia li ha puliti. Il cielo comincia a diventare di un blu ceruleo serigrafico. Fatico a respirare, perché anziché andare via a tutta velocità finché mi finisce il gasolio, devo girare e...
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