Esterno scarno
Fontane di Piazza J.F.Kennedy, riflesso notturno
Un tempo fummo amici. Ma amici come piume attaccate ad un albatros, amici come binari di fornte al mare, percorsi dalla gioia dell'estate. Le sue giornate come flussi di programma, così ramificate, avevano con me quei punti di contatto che sono più dei baci e dell'amore: sorridevamo insieme, accolti, complici. Ma la mia vita è entrata adesso in una sua inquadratura da foto ricordo. Sono lì bellissima, ferma e perplessa, non volendo sentire il crescere di un rumore interiore di tristezza e di rabbia; sono lì, la tazzina di caffé a raffreddarmisi nell'incavo della mano, e lui che se n'è andato in un altro scompartimento del treno che ci portava insieme, una scusa qualsiasi e non c'è un più.
Che sono poi gli amici, mi dico mentre un vento che voglio gelido entra dai finestrini della mia personale galassia. Non sono altro che un non sentire il freddo, sono quella vertigine che ti stacca dal vuoto, il libro dei libri dove penso e dunque esisto. Sono un pensiero che ti assale nella notte e produce un'emozione così forte che potresti chiamarla passione. Ma capita che il cielo decida di rovesciarsi, una tangente della vita ci allontani , e io rimango lì svuotata per un tempo più breve o più lungo, chiedendomi se ho sbagliato - e che cosa significa sbagliare - e utilizzando come scongiuri parole forti in tre lingue diverse finché mi stanco così tanto che posso riprendere a vivere.
E saranno altri amici. Quanto è grande la mia città interiore così tanti sono gli angoli da dove li vedrò apparire, ognuno con le sue estremità e quella luce bassa che mi confideranno. Ci penso mentre cammino di corsa, nella folla del centro, angolosa, stressata, consolandomi.
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