lunedì 21 gennaio 2008

Le Grand Tour, mais dimanche



Dal portone d'ingresso di Villa Medici. Al fondo, San Pietro
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Me lo immagino, quasi. E' una mattina di domenica, è gennaio; una giornata strana, umidità e un sole leggero. Un continuo sferragliare lontano di cavalli e carrozze arriva smorzato fino a Villa Medici. Ma nel cortile, dove Ferdinando legge un breve del Papa, soltanto il rumore delicato dell'acqua. Lontane, le cupole, dietro la balaustra. I cani arrivano di corsa, festosi, fermati appena in tempo dai garzoni a mezzo metro dalla veste rossa.

- Giovannino, esco un poco a fare una passeggiata con il bracco. Tieni gli altri.

Il garzone, tutto sudato, s'inchina a terra, con i cani scalpitanti tra le braccia. Il bracco nero, immaginandosi immenso, segue il cardinale per le scale, scende fino all'ingresso. Un odore lo attira, vicino ad una colonna. Il sole intanto è entrato e si stende come un parallelepipedo vibrante. Un fischio e il cane lo taglia, attraversando una porticina bassa aperta: la luce lo inghiotte...

Il portoncino è là, una demoltiplicazione del portone bullonato che si apre in varie grandezze. Anche la scala a chiocciola, gli studioli pieni di foglie e tra le foglie frutti e volatili, oppure di conchiglie perlifere, di pesci e di grottesche. Nel giardino all'italiana l'inverno dorme imprigionato in forme geometriche colorate. Soltanto il rumore delicato dell'acqua. I pini marittimi minacciati dall'inquinamento invadono un infinita zona verticale di cielo. Mascheroni e statue, bassorilievi e gemelli eterozigoti di Giano in tutti gli angoli delle siepi tagliate squadrate, perfette. L'angoletto dove Velazquez... sì, un brivido. Il viaggio italiano degli artisti dell'epoca, alla ricerca della luce romana sui colori romani. Sulla facciata, tra i bassorilievi romani, due riquadri con i festoni, dell'Ara Pacis.

Solo uno sguardo al possente Luigi XIV in veste da Ercole, che ricorda come il luogo sia adesso vita e magia per i borsisti dell'Accademia di Francia. I loro studi un po' appartati godono di una di quelle viste di Roma che io chiamo "dell'amante"; perché solo questa città si lascia guardare, come se si fosse al bordo del letto: lei che dorme, che si sveglia, il suo sguardo divaga languido sul giorno, sul tempo, su di noi.

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