Avvicinarsi al sciogliersi
Arcobaleno, Tangenziale est
Le gocce cadono sul parabrezza così violentemente da lasciare come delle code. Per un secondo si trasformano in piccolissimi gabbiani fatti d’acqua, poi scoppiano in fuochi d’artificio rossi e verdi o gialli e bianchi, a secondo se passano i motorini o come si accende il semaforo. E il tutto si scioglie dietro il vetro, mentre io leggo ilSole le cui pagine rigate da gocce amebiche, ciliate, mi spariscono quasi sotto gli occhi; ogni tanto l'orecchio percepisce una scia d'acqua e una macchina scivola, vernice rossa-vernice verde. Non mi concentro sulla tecnologia, le belle, speranzose parole sul futuro mi scivolano in gola allo stesso modo delle gocce, la mia gola gialla come gli alberi tutti ai bordi delle autostrade, il loro lutto biologico nascosto dietro alle spallette in cui l'erba brilla risuscitata dal feroce taglio di quelle macchinette che baraondano come tafani meccanici. Non mi concentro eccetto sul tempo che s'inumidisce, sulle ombre umane gravemente ricolorate dall'oscurità che avanza, mi passano vicino, le loro facce belle storte come in centomila Bacon.
Di solo la pioggia posso dunque parlare. Quel raccogliersi sotto le nuvole ribelli, che strillano un arcobaleno sull'ingorgo infinito che spesso, non so come, mi evito: vado dall'altra parte, al contrario, nell'altra sponda, diversamente da tutti, forse lontano. Ma no, vicina alla carezza a te. Così rimango.
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