Fight autoreverse
Se uno ha una giornata pesante, due sono le cose: o colpisce o incassa. Sul pavimento della palestra, sento uno ad uno muscoli e muscoletti che nemmeno studiandomi a fondo l'atlante anatomico sarei capace di distinguere: tutti tirano come corde bagnate che dovessero alzare un obelisco. Cosa sono i legamenti, penso. Fanno male i legamenti? Sono innervati anche loro? Mi mordo senza convinzione il labbro inferiore. L'istruttore, dopo un'ora con quelli che ballano sudamericano e sudano come fontane, ha messo per noi un disco di Ludovico Einaudi: ecco come rovinare un ascolto curioso. Quel pianoforte suonato furiosamente si dipinge come sottofondo del nostro piegarci e stirarci e allungarci verso l'infinito e oltre. Diventa l'immagine delle ore lasciate indietro, contro cui combattiamo. Non rasserena.E quando esco dopo aver espiato tutto il negativo, sono sorridente, carica e pronta alla lotta, qualunque tipo: le corse fino all'autobus che scappa, tre piani di scale, ignorare un cane stizzoso che mi abbaia, altre 8 ore lavorative, autodifesa, tutto. Invece, resto per un'ora e mezza incantata a vedere sullo schermo del computer autobus e tram e macchine e camion e barche sul fiume e la neve che cade sui treni fermi nelle stazioni di campagna e le persone pixelate che mi guardano dai treni notturni e il saluto della gru azzurra. E' bello sognare così, con i pugni in tasca...
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