venerdì 10 novembre 2006

Fil orange

Mi guarda torvo, da dietro la giacca arancione con le bande che dovrebbero essere fluorescenti, come quelle dei coni segnaletici che sta mettendo sull'asfalto, a formare una specie di conchiglia aperta, in mezzo alla quale sta una macchina per le strisce, grigia e triste come un cane bastonato. Mi guarda manovrare come fossi a Vallelunga, per passare questo improvviso ostacolo notturno, e io sorrido e continuo a sentire l'Ensemble Intercontemporain che snocciola musiche valide per un bel ventaglio di sensazioni, musiche che ti prendono alla gola come un foulard di seta e proteggono, carezzano, permettono anche gli inabissamenti della stanchezza. Sì, bello il mio arrabbiato, la notte non è soltanto tua, e dovresti forse tenertela e godere del suo silenzio; in fondo potrei scendere e darti il cambio, trascinare quel mammut grigio ed aspirare profondamente l'odore della vernice riflettente. Potrei veder salire delle microgoccioline fluorescenti a incontrarsi con la foschia di questa serata banale, da metà settimana, in cui mi tocca abbandonare luoghi tappezzati di Rosso e di Nero (e dunque dedicabili alla passione e all'ambizione), odorosi di assenzio; mi tocca rinunciare per oggi alla Kahlúa, alla buona compagnia good fellows & music & photos & other beauties..., ma almeno tu, uomo fosco, non potrai guastarmi la notte, mio rifugio originario.

Guizzo (ma piano) sulle strade che si snodano, curiosamente ortogonali per questa città funambolica, tra l'Appia e la Tuscolana. Mangio una piadina pomodoro e mozzarella appoggiata a una Freelander, dal Piadone a Via Muzio Scevola, mentre guardo le palazzine degli anni trenta e quaranta come al solito, fin sopra ai terrazzi, in cerca di sprazzi di vita. Ma è troppo tardi, le finestre sono scure, il sapore del pomodoro non c'entra niente con la notte: è un cibo da bambini. Sorrido, via. Il cielo scorre, va verso il mattino...

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