Un pezzo di ora di pranzo
Vasca della fontana di Giacomo della Porta, Piazza S.Pietro d'Illiria
I romani si baciano nei parchi a primavera? No, si baciano in autunno, sotto gli aranci del parco all'Aventino: baci infreddoliti e furiosi, isolati dai preti e dai cinesi in passeggiata, ignoranti i gatti grassi e fieri che si mettono in posa vicino ai grossi tronchi, mentre la luce del sole pennella un pezzo di chioma alla volta, e si produce un mare di click dalle macchinette digitali. Mi affaccio dalla terrazza, a guardare l'arrugginire dei platani tutti che toccano il Tevere, e la luce rossa sul tufo di tutti i palazzi collocati nei secoli sui colli. In fondo, penso, cosa sono le terrazze e i belvederi se non le finestre che la città riserva per se stessa, i suoi specchi? Dallo Zodiaco, dal Gianicolo, persino dal Vittoriano e da tutte le autostrade che nelle loro discese scoprono la città che si avvicina, dapertutto mi sono affacciata come da una finestra, mi sono alimentata di luce, di odori e rumori. Per poi scendere, come adesso, e giocare a perdermi nell'incrocio più autoscolastico che io conosca, tra Viale Giotto e Via Guido Baccelli, per circondare Caracalla, grande come un mare di acque dimenticate, e sbucare su una stradina ricoperta di foglie gialline: sentire che non finirà mai, questa città, di insegnarmi angoletti e vicoli e tesori.
Santa Balbina, chiesina che si apre soltanto un'ora e mezza al giorno, è occulta alle pendici del colle più ricco di chiese paleocristiane e medievali. So di non essere la sola a rimanere meravigliata. Come mi manca il mio taccuino dei disegni e gli appunti... Si fa tardi. Un autobus scende molto lentamente verso Via delle Terme, sorpassato da tutte le macchine meno dalla mia: piano, oggi voglio andare piano.
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