sabato 11 novembre 2006

Poi d'improvviso venivo dal vento rapita

Guardavi la cucina stamattina come un meccanico alla fiera dei pistoni e degli alberi motore. Era sì uno sbuffare di pentole a pressione contenenti diverse qualità di brodo di carne, o il borbottare bianco del riso al latte e cannella; capisco, e quando con gli occhi chiusi sentivi l'odore del caffé prima di berlo di un fiato, sapevo che dopo un'occhiata tua mi avrebbe squarciato la tuta blu dei grandi lavori casalinghi, e che io avrei sorriso a denti stretti, da sfida e come mi piace.

Ma fuori, un sole troppo; un sole spalancato sulla città. Ti lascio a cura del fuoco, invertiti i ruoli primitivi. Il silenzio particolare di questo sabato, del mercato dove mi va di passeggiare tra i colori e gli odori, in cui nemmeno le vecchiette - i cui carrelli della spesa, oggi, non cozzano creando battibecchi al calor bianco, occhiate da killer, le minacce represse, le mani chiuse frustrate da capelli che non strapperanno - disturbano, in cui i pomodori sono più rossi e più tondi e richiamano a gran voce le friselle e il sale, e anche un allentarsi per le strade e perdere il tempo nel bar-caffé preferito, tutte queste cose mi lisciano e mi pettinano.

- Potremmo vederci stasera, se vuoi. [per favore, per favore, per favore]

Una ragazza lievemente pienotta, le labbra belle, i capelli ondulati, parla al cellulare appoggiata al bagagliaio aperto della macchina, con ai piedi fasci di manifesti da incollare. Mentre lei supplica qualcuno al telefono, e io vengo investita da questa détresse d'amore, le foglie svolazzano, ricoprono la scena come di un momentaneo oblio. Una spilla mi punta, tocca tutte le mie simili tristezze d'amore passate e vicine o lontane, e devo alzare la testa per guardare il cielo, per farmi investire dalla luce e far cadere all'indietro la malinconia, vinta.

Odore di carne arrostita con i peperoni, per le scale di casa. Le finestre spalancate alla voce dei gabbiani, e tu che ridi al telefono e al mio sguardo, sentirsi vivi...

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