venerdì 9 settembre 2005

Le plus profond, c'est la peau

Mi piace questa ragazza con la maglietta molto bianca, ferma al semaforo, sotto un ombrello porpora. La lascio dietro, sottolineata dall'acciaio umido che va crescendo sui profili delle cose, mentre sta per fare il primo passo sull’asfalto dell’incrocio e insieme legge un messaggio sul cellulare. Nessun altro pedone, niente pizzardoni che passeggiano nelle divise bianche. E’ molto presto, è vero, e sta per piovere a temporale. L’asfalto che lei attraversa è lucido come plastica.

Sulla tangenziale scola l’acqua della prima pioggia mista a qualcosa come sapone, che lascia delle striature bianche. Le finestre sono ostinatamente chiuse. I binari che sotto le curve si aprono a ventaglio sono ostinatamente vuoti. E’ un’anteprima dell’autunno, un trailer silenzioso dello scivolare nella fine dell’estate. Il cielo è coperto da una cataratta di nuvole che vagano dal grigio al nero e ogni tanto sbadigliano in un lampo ed un tuono. Gli alberi del parcheggio diventano piumati al vento, e i loro profili sono come ritagliati su di un foglio di piombo. L’erba, oggi, non la calpesto. Spugna la terra aprendo le sue infinite bocche. Sotto i piedi gli steli si tendono in un'attesa che non ha fretta, ineluttabile.

La macchinetta del caffé dell’ufficio sembra un jukebox, per contrasto con l’oscurità che ho lasciato fuori. Interrogo i suoi led come in quell’attimo in cui si sta per cominciare un videogioco: mi deve riuscire il poker. E con il caffé in mano spengo la luce della stanza, apro la finestra, permetto ai rumori di prendere possesso e sostituire il brusio costante dei computer. Esco al balcone.

Le gocce sono baci freddi che i miei capelli bevono come piante. Mi lucidano le unghie con uno smalto che viene dal mare. Facile per me scorporarmi dalla realtà, voler andare via con l’acqua, in sole sensazioni. Gli scrosci sono come schiaffi e non resisto più. Da dentro mi richiamano risate e scoppi fonetici, che dimostrano come in fondo un evento atmosferico sia bello o intenso da vedere soltanto per un tempo limitato. Non per me, però. Mi siedo alla tastiera, volendo scriverti queste sensazioni e fallendo miseramente. Volevo dirti cose in silenzio, perché il silenzio ci sta a pennello, perché ci ascoltiamo anziché parlarci: in questo c'è una saggezza e un rischio, e non si può essere saggi senza essere anche pazzi. Vanno via le nuvole spettinate, terrorizzate. Vanno via verso te.

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