Roma:amoR
E' tardi. E' tardi. E' l'ora in cui la città si prepara a una disumanità calcolata che si sgrana per ore fino all'alba. Ho girato per Corso Francia seguita dalle lunghe linee dei più lunghi balconi della città, superati soltanto da quelli sui lungoteveri, affacciati sull'asfalto come sopra un burrone; sola, procedo adesso lentamente su ponte Flaminio - tutto bianco con quelle sue enormi luci che ricordano le omologhe dell'800, lampade a gas che non illuminavano più di queste - per poi accelerare su di una spettrale tangenziale fino alle luci gialle che segnalano l'uscita obbligatoria, e poi giù per strade schiaffeggiate ed annerite insieme da lampioni gialli e angoli profondamente scuri. Mi lascio portare dall'istinto per le stradine fino alla Nomentana, istantaneamente mi accorgo di aver sbagliato direzione, inverto ad un semaforo, con traiettoria larga, sotto lo sguardo di una volante e filo per lo stradone dritta fino al ramo del Muro Torto che ci inghiotte, me ed altri ritardatari, e poi ci spara fuori a Castro Pretorio come in un vago tiro al piattello. Mi fermo un secondo davanti alle luci di Termini, una cascata alogena sul travertino: via Marsala, quella strada ambigua che ospita insieme l'esercito e gli ultimi relitti del disordine del mondo - tutti sdraiati adesso, incopertati, accostati al calore dell'ufficio delle Poste come tanti bachi da seta - mi abbraccia come un onda, mi invita a scendere e tuffarmi nel tunnel che da sotto i binari sbuca nelle propaggini dell'Esquilino, come tante altre volte.E' tardi. Che silenzio qua sotto. Fermo la macchina e accendo le frecce. Una foto, mi dico, di queste linee razionalmente sprecate nel rumore, nei gas di scarico. Una reliquia di catacombe asfaltate. Scatto. Un rumore improvviso e due ragazzi che escono da dietro i pilastri, gli occhi basssi, ogni tanto un guardarsi indietro, non a me. E quando vanno via mi accorgo che mi hanno lasciato l'immortale e immortalata parola che delimita e conduce la vita fino a compimento...
L'amor nascosto
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