lunedì 11 aprile 2005

Green is the colour

Sono troppo seria, lo so. Noiosa, forse. Ho lasciato dietro ma rimugino stracci di una conversazione intensa mentre filo a 110 sull'autostrada, ricevendo addosso zampate d'acqua dalle nuvole, che si divertono a sbattermi come fossi un topolino e loro dei giganteschi gatti tigrati di grigio. Dopo la frenesia del tratto cittadino, oltre il raccordo e i viadotti, il paesaggio è una cascata orizzontale che scivola sui finestrini in un misto di colori strascinati, che non si lasciano definire fino al casello. Stop-and-go con il biglietto schiacciato dietro il parasole. Un nastro di asfalto - la mia pista di decollo -, le curve paraboliche, il verde dei campi seminati. Entro nelle gallerie bordate di olivi e di edera. Esco sopra i campetti, ognuno con il suo alberello fiorito di bianco o di rosa. Le foglie delle robinie, di un verde delicato, esplodono ai margini dell'autostrada; mi rendo conto piano piano di entrare nell'alveo di un fiume mobile, che vibra e scorre. Sulla Sublacense conosco ogni curva, ogni albero mi è fratello, e vorrei abbattere ogni edera che li soffoca rendendoli giganti obesi, ammassi tremolanti di foglie sui nudi rami; e comunque degni e imponenti, mai domi. Dietro la centrale elettrica, dagli argini ricchi d'acqua, le tonalità sono irripetibili e ringrazio nonsochi, nonsocosa, per poter vedere così tanti colori di uno solo.

Salire la montagna è come un pellegrinaggio: si procede in silenzio. Spengo la radio, apro un finestrino anche se l'aria è gelida. Sopra Subiaco un immenso nuvolone ha dimenticato la strada del ritorno al cielo. I suoi bordi si arrampicano sui fianchi della montagna come tentacoli piumati che toccano studiando; tentennano impigliandosi nelle dita dei faggi, ora piene di gemme, pronte a fogliare. E mi raggiungono mentre scendo: entrano nella macchina come un bacio umido pieno degli odori raccolti. Ah, la nebbia... non sapere cosa c'è dietro quella roccia, oltre quel tornante, e saperlo. Niente più verde, qui. Solo il mistero di colori mai colti né riprodotti, inviolati; e io dentro, accolta, attraversata.

La città nel primo pomeriggio è sdegnosa: alla fine non sono che una tra le migliaia di macchine che girano. Nuvoloni grigi e neri se le danno in un wrestling senza tuoni. L'ultima curva prima del raccordo è la guancia nella quale gira una gran caramella verde di pini, di muschi che brillano come smeraldi quando la neve si scioglie, di confuse sterpaglie e verdi parallele fisse nei solchi dei seminativi. La città non se ne accorge. Mi porto dietro, ridente, la primavera...

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