lunedì 21 febbraio 2005

Richiamo

Omar, il guardiano del garage, e Gabriele il mecccanico scambiano impressioni, uno dentro e uno fuori da una Smart gialla. Fluorescenti crudeli li ritagliano contro un muro di macchine.
- Si accende qualcosa?
- No, sono spenti gli stop, tutti e due.

Il portachiavi è un cuore rosso, di cuoio. Premere un bottone, e le porte si aprono con il rumore di una messa sull’attenti. Mi diverte percorrere senza fretta l’Esquilino - non c’è traffico a quest’ora sugli stradoni - pattinando morbida nelle curve insieme ai tram e fiondandomi nel piazzalone di Termini dove oggi regna il silenzio degli storni, non è ancora ora di disegnare nel cielo le macchie di Mirò: no, non ancora. Il pomeriggio è scuro molto prima che accendano i lampioni, ogni tanto ripiove prima lieve, poi da correre, poi come in Colazione da Tiffany; davanti e dietro a me vedo in un turbinare ombrelli, passeggini coperti da bolla protettrice, pulitori al semaforo, ragazze che si coprono con minuscole borse. Una discesa con sotto tutte pietre, via Marsala; un curvone a 90, il tunnel dove non si vede nulla ma si guardano gli anfratti e le profondità segrete di cui è piena Termini, e risalire per le strade lucidate, limitate dai pittogrammi rossi illuminati dalle lampade di carta. Sono i vicoli della Chinatown nostrana, arrivano spalancati fino a Piazza Vittorio, fin nei suoi banchetti di calzature e borse, i pavimenti variegati, ondeggianti dagli anni passati lì sopra, sotto i portici.

Guardo al di sopra degli occhiali, e vedo tutto sfuocato, un privilegio dei miopi: i puntini colorati delle luci sono come fiocchi. Rossi, verdi, gialli, viola, arancio, bianchi. La pioggia tramuta tutti i colori, ma loro resistono: vanno come schegge sulle linee del tram e lì sopra scivolano fino ai binari, incontro alle pozzanghere, diventando metafora cittadina dell’arcobaleno che non c’è.

L’ombra delle gocce di pioggia scivola sul volante mentre ritorno a casa. E’ un richiamo del cielo, una cifratura leopardata. Chiudo gli occhi un secondo. Le ultime note di una canzone che mi piace, della quale conosco ogni strato sonoro. Mi ci vorrebbe una strada senza luci, per andare lontano, fino a sentirmi
accolta
dal mare
della
notte.

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