giovedì 17 febbraio 2005

Lettera richiestami da un amico

No, non mi circuire così. Quando mi prendi alle spalle, le mani lievi, temo di disfarmi. Là dove non ti aspetto ti trovo: là dove non ti cerco mi aspetti. L’aria si apparta rispettosa, al tuo sguardo. Una misura nuova di azioni mi è insegnata: le attese, ed i silenzi prolungati, dormire e risvegliarmi pensando: E oggi? Le strade sono vuote, è così tardi. Io so che tu dormi abbracciata, tra le tante altre cose, ad una radiografia del mio mistero. Questo silenzio, in cucina, lo schermo che mi rimanda l’effetto dei miei pensieri mentre li formulo, è un sipario: là dietro, un mezzo al guazzabuglio dei nostri giorni, si cela una promessa. E no, non sei lontana adesso: tenui fili ti sostengono su di un mio ramo, ogni tanto un movimento, e l’attesa dell’alba; luogo dove ti penso, così intensamente da non poter far altro eccetto uscire famelico, in cerca di quotidianità non mie, belle parole e carezze casuali, dovute agli ascensori o agli androni. Ma questo mi esaurisce, mi svuota lentamente.

Volevo solo dirtelo. Non so scrivere parole d’amore che non siano tenute sulle punte delle dita fuori dal finestrino: le affido al vento, alla pioggia, le perdo e nulla so. Potrei osare di più, ma lo stridere non fa parte di me: vedere i tuoi occhi tra il sarcastico e l’arrabbiato potrebbe ridurmi a lobotomizzato, velocissimamente, fino al licenziamento di tutto il mio carattere.

Ho fatto le valigie, come tu mi hai richiesto. Una è vuota, va riempita di te; a te l’affido.

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