lunedì 27 settembre 2004

Paseggiando

Io sono curiosa. Osservo le persone che mi stanno accanto nei bar, lo sguardo va sullo specchio nel fondo; mentre guardo sento, insieme, l’amarezza ed il profumo del caffè, i suoi corpi grassi che si espandono nella bocca. Guardo come una signora spezza un cornetto, come un’altra impugna il telefonino: lo scambio di gesti tra la cassiera ed i baristi, i brevi lampi degli occhi, la mimica delle mani. Per anni ho sentito innumerevoli parole, per anni ho ascoltato e dimenticato centinaia di conversazioni, detto ciao e addio a migliaia di persone. Non capivo niente. Adesso, libera nella mia solitudine, mimetizzata da certi segnali sociali, posso lasciare scorrere il mio sguardo sulle cose, lasciar fluire le parole ed i gesti dentro me come un fiume. E persino nei giorni in cui non ho da vedere nulla di bello, perché i miei occhi sono oscurati da un qualunque dolore di qualunque misura, anche lì i gesti degli altri mi sorprendono, mi insegnano.

Io so ascoltare. Ho sempre davanti a me le persone insieme intere e fluttuanti, definite ed olografiche. L’inflessione delle loro voci, o come la luce gioca sulla loro pelle. Quando cantano, quando urlano, la loro paura. Adesso il mio silenzio è dono, so che è un cerotto nel rumore assoluto delle nostre giornate.

Io conservo. Un valore infinito hanno le frasi compiute o troncate. Le emozioni vengono raccolte come gioielli. Raccogliere la fragilità di un tempo dell’altro, scappato dal controllo dei sensi, qualcosa di cui, nelle ore che seguono alla confidenza fisica, quasi quasi ci si pente. E io tengo ciò in me, comme un trait d’union tra io e l’altro, più forte della complicità.

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