sabato 18 settembre 2004

La lettera

Prima la leggo di un botto, poi la rileggo, poi la rileggo ancora.
In questi giorni, aspettavo, pregavo, anelavo.
Mentre guidavo pensavo: basta una sua parola.
Perché c’eravamo detti addio senza alcun tipo di convenevoli, null’altro che addio e fu un addio vero.
Mentre scoprivo che all’Auditorium quest’anno c’è anche Holst, pensavo: basta una sua parola.
Perché raramente nella vita ci si avvicina alla linea assoluta tra il reale e l’impossibile, una volta soltanto ho toccato quella linea, e fu lì, dentro di me l’insostenibile, ed ero piena di vergogna e di colpa, per non averlo amato ancora ed ancora, tanto che poi sono fuggita per 15 anni.
Mentre cercavo per tutti i miei libri di poesia qualcosa da scrivere un giorno e che lui capisse, capisse che era per lui, pensavo: basta una sua parola.
Eppure io lo sapevo che un giorno avrei ritoccato le sue parole e rivisto quell’espressione insieme di dolcezza e di rassegnazione. E dunque adesso mi struggo nello scoprire che la mia immagine preferita della calma necessaria è la stessa che conservava lui.

Pensavo, e poi smettevo di pensare dalla insostenibile, inaspettata felicità.

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