sabato 18 settembre 2004

Come tante altre cose

Avevo due anni o tre o quattro. Bill Evans registrava. Seduto, chinato sul suo pianoforte, mentre io balbuziavo le prime frasi, lui costruiva quelle architetture dell’emozione che molti come me portano oggi cucite, come tante altre cose, in un luogo qualunque della mente. Da lì quelle dita carezzevoli che, nello stesso tempo in cui io, in un altro paese, mangiavo o mi fermavo per strada a prendere un pezzo di qualunque carta piena di lettere - perché volevo leggere tutto già allora – sapevano essere silenziose o luminose, con il loro corteo di note sfiorate appena dalla batteria e dal basso, mi vengono a cercare. Mentre le risento penso che ora, come sempre, tutti noi facciamo cose insieme, nello stesso momento. E mi dico senza falsa modestia che se qualcosa di quel che io scrivo rimane, se qualcuno se lo porta via nel suo vissuto, lo conserva - come tante altre cose, in un luogo qualunque della mente - e da lì ogni tanto si alimenta, allora anch’io ho fatto parte della storia, non sono stata sprecata, ho dato anch’io.

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