In cielo l'intero mappamondo delle nuvole
Anzio, parco davanti al mare
D'inverno Roma dimentica di avere vicino il mare. E più che mai domenica. Guido verso Anzio in questa mattina appena velata di strice pannose di nuvole e su tutto un blu accogliente, pensando che sotto i pini schiacciati della Pontina sarò passata tante di quelle volte, sempre con lo sguardo distratto da un amore vicino o dal colore delle terre seminate, sempre con una striscia aperta di finestrino, l'aria intorno che mi riconosce e mi tocca. Strisce di pini, salite e discese, l'asfalto ferito dai camion brontola sotto le ruote. Pomezia, la torre del Comune inghiottita dai palazzoni che la proteggono e rinchiudono come un muro di cinta; baretti e fabricchette, erbacce e spazzature buttate ai bordi della strada, e sempre qualche simpaticone che spinge le macchine a buttarsi a destra e sparisce a duemila verso l'orizzonte, senza alcun autovelox che lo multi.
La Nettunense è una strada che va giù. Con accanto una ferrovia che va giù e un sacco di stradine tronche in uno dei cui incroci sosta, come aspettando un autobus, una donna stretta nel bomber bianco dal cappuccio bordato di pelliccia. Erbacce, platani arrugginiti dall'autunno e la presenza del mare che mi arriva non soltanto ad odori, ma nei colori delle borgatine dalle case squadrate e condonate gialle, rossiccie, color pittura stinta sul cemento. Gli stenditoi non hanno alcun costume colorato appeso. Un ragazzo sosta ad una fermata, bardato con uno zaino da viaggiatore, pesante, e lo sguardo di chi ha dormito in una stazione. Due rotonde con cartelli invitanti al disperdersi. Al porto, van le ruote. Non sirene: le attirano i gabbiani. Al porto.
E che sarà. Ma prima prendo un cappuccino eccezionale. La banda cittadina suona un pezzo davanti al duomo e poi entra, a messa, dispersi dietro i bambini che la circondavano e guardavano come formando già il ricordo futuro con lo sguardo. Gli ottoni al sole brillano e io sono sicura che tutti i santi che hanno da fare con il mare li adorano. L'ottone lucido sulle barche a vela. L'orizzonte pieno di micro-vele di una scuola che è uscita malgrado le ondette insidiose. Le reti avvolte nelle grosse pulegge dei pescherecci. La solitudine delle mura romane, del parco solitario che guarda il mare, dove qualche coppia (la mattina si è più timidi) gioca a rincorrersi sulla sabbia.
La ragazza del bomber sta ancora lì, quando ritorno. I campi verdeggiano di più sotto una breve pioggia. Le stradine laterali si aprono umili, m'invitano a perdermi. Ci vuole il Koln concert, la musica della rassegnazione disperata, della bellezza della solitudine. Non vorrei più andare da nessuna parte. E Roma quando arrivo mi sembra estranea, gelosa di mie emozioni. Cancellata.
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