Dell'odore della carta e della polvere
Esco dalla macchina con due libri sottobraccio, dopo aver visto un'altra volta le foto di Damiano al bar-vineria del Teatro Biblioteca Quarticciolo, mentre due-tre lettori leggevano nella biblioteca, uno spazio ampio e insieme raccolto, adatto ai divoratori quanto ai meditatori. Percorsa in un lampo la Prenestina sotto una pioggia pigra, e per l'ennesima volta chiudendo la parte brutta della giornata fuori dalla porta di casa, appoggio i libri in mezzo ad altre minicataste di libri letti cui cercavo una citazione, Nòva sfogliati e ripiegati come lenzuola fresche di stiro, cartucce della stilografica, foglietti sparsi con le wishlist / remember / to do / spesa ed altre carabattole.I libri stanno là come cibo incartato. Il tatto delle pagine è una sensazione pari in intensità agli sguardi profondi che ogni tanto m'incrociano e che sento eccheggiarmi dentro per giorni, come una domanda che abbia suoni di campana nel silenzio del meriggio castigliano. Lo svolgersi di un libro che si racconta sotto le dita è sia un prendere con le bacchette perfetti sushi di racconto che la più carnale delle scarpette fatte sul sugo, lì dove nel libro entriamo, dove di solito penso: "scrive come farei io (in una delle mie tante modalità emotive)". Le ore passano e io dormo sempre meno, un po' perché la fisiologia lo prevede, ma soprattutto perché mi dimentico che esiste il mondo intero mentre leggo, che vive fuori dalle finestre ed incassa il suo prezzo la mattina dopo...
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