domenica 11 maggio 2008

Invidia crepa fortuna assistimi (scritta su un sacco di furgoncini e camion)



Ceri, facciata di un palazzo con stemma dei Torlonia

L'Aurelia non è la Regina Viarum. La immagino nell'antichità, odiata come una tangenziale, subito buttata in campagna senza locande né boschetti. E non c'era alla partenza la freschezza dei platani di viale Giulio Cesare, alti otto piani: da quelle parti solo qualche casetta, poveracci cui buttare qualche monetina o che i servi scacciano mentre si dormicchia, rassegnati. Radi casali, refoli di iodio, la prospettiva di una lunga, noiosa marcia.

Invece adesso l'Aurelia m'inghiotte nelle due corsie, intravedo a malapena i giardini delle case generalizie di ordini religiosi, casette brutte a quattro piani, cartelli di alberghi che stanno in mezzo ai dedali di strade interne bucate come una grattugia vecchia, concessionari ribollenti di gente che tratta compravendite in privato, piscine vuote messe lì in mostra e torri dell'atra tensione. Collinette ex-seminate con in cima enormi balle che mi andrebbe di far rotolare giù. Lente discese in cui slalommare perché da destra s'incorporano senza pietà altre macchine, i SUVvoni, i motoroni che bevono il vento a zigzag. Di spora scendono inesorabili gli aerei su Fiumicino. Su tutto, una gran cappa. Le cellule delle mucose rinofaringee stanno sull'attenti: non succede niente. Ok, allora si può salire a Ceri.

E ' una stradina grattugiata, con buche come bagnarole, incroci con cartelli così illeggibili che mi viene voglia di perdermi e al fondo una pineta piena di odore di brace e di autoabbronzante, un barcamp de noantri, 0.1. E dopo aver fatto le venti manovre standard dei miei parcheggi, ecco le mura tufacee del microborghetto, cui l'occhio geologo si deve soffermare, mentre io invece do' fastidio ai ragni nascosti nei loro imbuti di arenaria, fingendomi una moschina caduta nella trappola (mentre invece impugno uno stelo). Dall'alto si sta comodi come in una casa sull'albero, e quasi ugualmente isolati. Il semaforo che regola l'accesso al bordo, monocorsia, va dal rosso al verde con la stessa pigrizia di quello di Radiator Springs.
Ancora in mezzo alle traiettorie - mi dico, affacciata sui boschi circondanti - come una briciola di atomi senza consistenza. E quanto è difficile incrociarsi, adesso, scambiare un sorriso, un opinione -

La domenica scorre nel ritorno più velocemente degli orologi. Quando l'Aurelia finisce comincia la Calcutta di pedoni impazziti e passeggianti, di sporcizia nascosta e ponteggi arrugginiti, di meravigliosi balconi sulla Flaminia abitati da immensi condizionatori. Arrivo a casa e chiudo gli occhi al buio, mi ricompongo - e lascio che l'ultimo sole cada sul caffè appena fatto...

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