lunedì 13 febbraio 2006

A te, che lo leggerai domani

Ci separiamo come altre volte. Ti lascio dietro guardando caparbiamente in avanti: la portiera della macchina, la strada, la gente che mi cammina davanti o dietro, il cielo che sbiadisce lentamente, le luci che si accendono a poco a poco. Posso lasciarti con il cervello, con la ragione. Ma appena ti sto lontano il corpo spunta da sotto i levigati pensieri, le connessioni ragionevoli si annullano e passo ad una dormiveglia automatica in cui sono sottomessa ai ricordi dei sensi. L'assenza di te mi china su di un mappamondo immenso di quello che ho vissuto e classificato dell'amore, sempre uguale e sempre differente. Le mani ricordano le tue, morbide e ruvide come la pelle di un giovane platano; le spalle, che s'incastrano così perfettamente nelle tue nell'abbraccio, scalpitano come cavalli. E tocco il volante ma è te che tocco, la leva delle marce un gomito, l'ombra del tuo polso nella notte; il vetro freddo come le tue guance quando entri nella metro. I capelli vuoti dai tuoi palmi che li rendono curvi come colli di cigno. La schiena orfana delle tante carezze. And so on, fino a tremare.

Perché tu stai nelle macchine ferme in doppia fila, in questo giovane uomo che mangia la pizza camminandomi davanti nel traffico, tu mi attraversi davanti nei semafori e mi guardi dalle cabine dei camion, cammini con me accanto agli acquedotti, con me attraversi le porte della città e compri i giornali. Stai nella mia implacabile solitudine, che non potrai mai scalfire; nel più profondo sogno di volare; nel sole che oppone ai miei occhi un muro morbido ogni mattina, e nella notte sorella.

Ovunque mi portino i passi, domani, io sarò con te.

<< Home