giovedì 26 gennaio 2006

Perché c'è altro amore

Quando non ho più contatto con le mie emozioni, quando sono troppo intense, quando mi duole essere contraddittoria e fragile, prendo la macchina e seguo una qualunque direzione centrifuga, circolare. E’ un gesto inconscio. So che tutti i miei gesti e i miei moti hanno un significato. Ma non cerco di trovarlo, non subito: è importante quello che il moto trasmetterà, quello che il viaggio susciterà. Guidare è catarsi; tira fuori da me le linee sfumate del mio stare nel mondo e le trasforma in parole che posso scrivere, sulle quali ci posso riflettere. E ho imparato a non farmi troppe pressioni: meglio essere amica di me stessa, compagna dei miei silenzi. Mi attardo nelle strade che circondano i laghi, nelle piazze rotonde, nelle rotatorie dei quartieri in construzione. Il cerchio ed io giriamo in un movimento centrifugo più grande, da vinile, come se una mano spingesse lievemente l’asfalto verso destra-verso sinistra, verso fuori, rimescolasse le mie interruzioni, le stanche ripetizioni di tanti giorni. A poco a poco dal cuore mi viene su una canzone, mi viene su una bambina che pattina sul ghiaccio, mi viene su il calore che dorme potente sotto lo specchio d’acciaio.

come ti si illuminano gli occhi se parli di qualcosa che ti piace
o in che modo abbassi le palpebre mentre sostieni un sorriso tenero

Le parole sono i fiori che ho sempre offerto all’altare del destino, dell’ineluttabilità delle cose, del tempo. Soltanto parole e curve definibili. Esse sono un incantesimo che lancio per me stessa. E risano.

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