giovedì 16 febbraio 2006

In silenzio, per piccoli luoghi

Nell'intervallo di pranzo la città è accoglientemente vuota. Le case colorate sono lievemente ingrigite dal cielo chiuso. La gente cammina dentro rumori attutiti dallo strato di acqua, dal gocciolare delle grondaie, dal severo strappare che producono le ruote delle macchine sulle pozzanghere. Mi piace girare a quest'ora, rubandomi il pranzo, con l'odore delle mele biologiche che riempie la macchina riscaldata. Mi piace oltrepassare il Tevere dal Ponte di Ferro e parcheggiare vicino a Porta Portese, oggi sprovvista di mercato e dunque laida come un disegno cancellato e stropicciato. Attraverso e guardo in su, verso San Michele, il vecchio "carcere" dei Discoli, un tempo accademia dove s'insegnava la scultura e l'incisione. Di qua, presente ovunque, comincia Trastevere, e mi piace entrarci dalla stradina che costeggia questo palazzone immenso, uno dei più grandi edifici che conosco in città, con le sue finestre tutte sbarrate o il finestrone dalla splendida grata decorata dietro alla quale, qualche anno fa, si poteva vedere il Marco Aurelio in fase di restauro (c'è una sezione dell'Istituto Centrale del Restauro). Il Cortile dei Ragazzi è bello, ma lo è ancora di più quello del Conservatorio delle Zitelle, con i limoni incassettati come a Versailles e la fontana che canta da regina, come soltanto l'acqua di Roma sa fare nei cortili e negli angoli delle vie.

Un'impiegata solertissima mi indica la chiesa sconsacrata, in cui ancora sussistono i bellisssimi marmi finti, e seguo la mostra perfettamente allestita e discretamente illustrata da piccoli testi. Mi piacciono sempre di più le piccole mostre curate, non affrettate dalla pressione di un potenziale grande-pubblico. Mi fa sbuffare l'avermi dimenticato a casa la lente d'ingrandimento, imprescindibile nelle mostre in cui ci sono foto di città, i cui dettagli (cartelli pubblicitari, oggetti, vestiario, etc) raccontano mille cose in più della semplice didascalia. Le foto sono splendide e l'acqua della Laguna è ferma sotto le gondole, i piroscafi austriaci e gli splendidi palazzi veneziani. Nessuno di noi, credo, l'ha mai vista così, né si vedrà mai più. Le foto che illustrano la protezione e conservazione delle opere d'arte in tempo di guerra impressionano più di un libello pacifista. E un'altra solerte impiegata mi consegna la guida che ho comprato, dove ci sono tutte le foto e le spiegazioni, in una busta di plastica rigida con la quale mi copro, perché intanto il cielo è diventato nerissimo e piove. Due operai al bordo dell'edificio collocano e tolgono i sampietrini da due diversi piccoli scavi. Un errore di calcolo? Ridono e scherzano incuranti della pioggia. Metto in moto, attraverso il ponte dell'Emporio. Di là rimane il Tevere che sonnecchia grigio, che vorrebbe cullare i suoi cormorani con i ricordi delle lavandaie e dei barcaroli che in altri tempi si scambiavano risate e lazzi, urla e coltelli nascosti, mentre su tutto regnavano gli odori grassi ormai svaniti, murati per sempre insieme agli argini.

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