Domenica, maledetta domenica
Stesa sul letto in un pomeriggio tiepido. La caldaia condominiale ronza creando un imprimitura di rumore sulla quale si ritagliano spazi prima una macchina, poi una moto, un bambino che dice “No!”, il ta-pum di un pallone calciato, una porta che si chiude, il motore di un aereo che scende verso Ciampino. Il mio corpo arreso rimanda alla chiamata della coscienza dei messaggi che sono sensazioni, tra il doloroso e il consapevole. I suoi contorni sono disegnati con il carboncino del sonno. La mano impietosa della stanchezza mi tiene schiacciata contro il materasso come un insetto. Ogni gesto uno sforzo disumano. Il cuore fa un piccolo tuffo, un singhiozzo; si ferma e diventa una cosa estranea. In un tempo fulmineo aspetto, osservo e mi chiedo come sempre se ritornerà a battere come prima, se ritornerà a me. E penso, in quel momento sospeso, a colui che mi ignora, di cui porto due o tre pugnaletti nel cuore, rifiuti e negative che graffiano i piedi di fango della mia autostima; stizzita lo spingo verso un luogo in cui i miei sentimenti sono piatti e senza continuità.Vorrei essere abbracciata in silenzio, dentro una macchina parcheggiata alla fine del molo di un porto, con fuori il vento che soffia e dice le parole velate di un amico giovane che parlasse della propria voglia di vivere. Sentire il salmastro risanarmi con la stessa eleganza dell’odore di spezie sprigionato da una torta a lungo elaborata. Per poi tornare a me, seguendo l’arrivo della notte, fino alla soglia del mio divenire successivo.
Il cuore riparte. Dalle finestre esce un mix di urla contenute, tifoseria da gol. Il pomeriggio è fermo in momenti che camminano, come in una inquadratura di Visconti.
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