sabato 6 agosto 2005

Estate

Giro nel traffico distratta, tanto che uno in Panda mi avverte della portiera mal chiusa. Io non chiudo mai male le portiere, piuttosto le faccio schioccare come se stringesse la mano alla mia macchina, il mio squalo. I grattacheccari stanno vicino ai ponti, circondati dalle loro collane di sciroppi. Per passare il ponte, è necessaria la sosta del ghiaccio colorato: è così. Il ponte è un passaggio temporale, lo sciroppo una compensazione infantile... Non ci sono più i romani al centro di Roma. La nube purpurea delle vacanze li ha finiti. Mi posso sentire a casa da straniera. Guardare dal di fuori i ragazzi che sgarellano con i motorini a Via Tor di Nona, sui sampietrini scivolosi, e che quando cadono si portano due dita alle labbra come nei film. Posso perdermi per Via dei Tre Archi, così stretta, e immaginare che sono sola, al buio, nella notte. Le mani toccano i muri. Sono freddi come lo sarebbero allora. E non ho paura.

Le mani sentono l'aria dai finestrini aperti; trema e bacia come il mare, quando metto la prima sui lungoteveri e faccio il gesto di carezzare l'invisibile, di apprivoiser le néant. Ferma su via delle Terme di Caracalla mi sorpassa un tipetto in bicicletta, vestito grigio, striscia aderente riflettente verde sull'orlo dei pantaloni, casco regolamentare, mascherina di tessuto grigio. Parla al cellulare, le falde della giacca al vento. Da dietro il Palatino si sta alzando una spessa schiuma di nuvole bianche. Ho fame. Dimentico di mettere le frecce, impegnata a seguire con le mani All blues sul volante. No, non sto guidando veramente. Permetto che mi sorpassino.

Le mani carezzano lievemente le siepi di bosso. Il parco, da questa parte, è più silenzioso. Una stradina di passaggio tra il parcheggio e l'Appia mi permette di scorgere quei terrazzi che mi sogno tante notti, nascosti, deserti, apparentemente disabitati.

Le mani stracciano una foglia di eucalipto. E' un sacrificio alla memoria: perché sto associando l'odore nelle mani ad altre mani ed altri gesti lontani. Per non lasciarli, come altre volte, tra le foglie dei platani, nelle pieghe dell'asfalto, sui lungoteveri assolati e pieni della polvere di un'estate che procede immutabile. Poi la foglia cade. Avvicino il viso alle mani. E chiudo gli occhi mentre respiro, respiro profondamente...

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