Può nuocere gravemente alla salute
Quando la mia macchina è andata, nel sogno, a schiacciarsi sotto quel tuo ridicolo camioncino rosso, stavo ascoltando una canzone di Brad Mehldau, ed ero così ferocemente concentrata nel sentire l'effetto delle note (insieme pugnali e odori di dolci), che non ho visto nulla, soltanto le facce dei tre bengalesi nel camioncino che veniva in senso contrario diventare tutti e tre dello stesso colore, e anche gli occhi spalancati di una ragazzina sul cinquantino, che ha frenato davanti alla portiera mentre affondavo sotto le lamiere, al rallentatore. Adesso sto sdraiata sull'asfalto, mi sento leggerissima: sopra vedo una casa con una cascata di balconcini rotondi appoggiati come fossero di marzapane sull'angolo, mozzato; un'architettura tra Garbatella timida e Ventennio acido. Sento molto vicini i passi delle persone; è un tambureggiar confuso, deprimente, che mi da fastidio mentre guardo il cielo così azzurro, le nuvole così bianche, un mare rovesciato che mi entra negli occhi e ci rimane anche quando li chiudo.La solitudine è un bisogno dello spirito. Dopotutto, se l'asfalto sotto di me si muove e sussulta sarà perché voglio svegliarmi e non essere curata, trasportata chissà dove: nulla può guarirci, noi che sentiamo troppo, a cui non basta il modo normale, perché abbiamo bisogno di illimitato... Mi sveglio in un buio assoluto, un calo di tensione nel palazzo. Sento un uomo e una donna, svegli da qualche parte; brani di voce e risate entrano dalla finestra aperta come forme regalate dalla notte, avvolte nella brezza freschetta di un maggio che fa il ritroso all'impaziente Apollo dell'estate. Vado in cucina - percependo con le mani stese davanti, come una rabdomante, i vuoti e gli ingombri dello spazio - a farmi un caffé freddo, e nel mentre chiedo agli dei del sonno, abitanti nell'oscurità, di farmi sognare ancora; sognare di sorpassare il camioncino rosso, di lasciarlo alle curve interrogative, allontanandomi veloce come un riff di chitarra, verso il mare.
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